Aziende partecipate, coro di ‘no’ alla vendita

Le Rsu di Asm, il sindacato autonomo Usb e il comitato ‘No inceneritori’ uniscono le loro voci al dissenso crescente

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Ormai è un coro. Le voci che si levano contro le privatizzazioni di pezzi importanti delle aziende partecipate dal Comune di Terni si moltiplicano. E il volume è sempre più alto.

L’allarme Le Rsu di Asm si dicono «per l’ennesima volta allarmate e sconcertate dall’atteggiamento assunto dalla proprietà dell’azienda, il Comune di Terni, che mette costantemente in difficoltà il buon funzionamento dell’azienda e dei servizi da essa erogati ai cittadini (elettricità, acqua, depurazione, gas e igiene ambientale), non pagando regolarmente le spettanze relative al servizio di igiene ambientale».

Un sacco di soldi Si tratterebbe di oltre 10 milioni di euro di arretrati non pagati, «nonostante il Comune stesso – dicono le Rsu di Asm – abbia incassato la prima rata annuale della tassa e nonostante le garanzie date, a fine dicembre, dall’assessore del Comune competente per le municipalizzate (Vittorio Piacenti D’Ubaldi; ndr), che entro i primi di gennaio molti milioni di euro sarebbero arrivati dall’ente stesso per garantire continuità e regolarità ai servizi. Che fine hanno fatto questi soldi? Ricordiamo che Asm si trova alle prese con il difficile e costoso avvio del servizio di raccolta differenziata provinciale e che si allunga la fila dei creditori delle aziende terze che vanno in sofferenza per i pagamenti che Asm ritarda sempre di più.

La vendita Inoltre, insistono le Rsu di Asm, «con scelta assolutamente non condivisa da questa rappresentanza sindacale, il Comune intende vendere una fetta cospicua della sua più prestigiosa controllata. Con quali scopi? Forse per buttare nel buco nero dei bilanci comunali qualche milione di euro per poi ritrovarci l’anno prossimo con gli stessi problemi di bilancio, ma avendo nel frattempo privato i cittadini di Terni di una parte della loro azienda, che, ricordiamo, possiedono dagli anni ‘50 e che ha sempre, grazie ai lavoratori che la compongono, garantito buoni servizi a tutti i cittadini di Terni e di tutta la provincia».

I dubbi I delegati di base, poi, affondano il colpo: «Viste le difficoltà di liquidità in essere, come si presenta alla vendita questa azienda? Forse ‘in saldo’, così da favorire una vendita, come dire, rapida? Non sarebbe forse auspicabile, per una volta, fermarci tutti a riflettere prima di compiere scelte avventate da cui non si può più tornare indietro? Tanto per ricordare una ferita ancora aperta, pensiamo alla creazione del Servizio idrico integrato, ove il 25% della proprietà privata ha dettato legge e Asm si è indebitata per decine di milioni di euro, solo in parte rientrati, contribuendo così ai problemi di liquidità aziendali. Come sempre Asm fa da banca per tutti. Noi diciamo: adesso basta».

«Asm non si svende» Insomma, dicono le Rsu: «La nostra azienda non si svende. Ricordiamo che rappresentiamo quasi 400 lavoratori, che siamo la terza azienda del territorio provinciale e che ci sentiamo di rappresentare anche altre centinaia di lavoratori dell’indotto. Potremmo, se ben amministrati, essere un volano dell’economia provinciale e fare da riferimento come multiservizi regionale. Ogni anno portiamo nelle casse comunali utili che sono costanti e in aumento. Perché vendere? Siamo pronti e decisi ad intraprendere tutte le forme di lotta necessarie per contrastare questo progetto per noi incomprensibile».

L’Usb Sulla vicenda interviene anche il sindacato autonomo Usb, che esprime «forte dissenso sulla scelta dell’amministrazione comunale di vendere quote e privatizzare le municipalizzate del nostro territorio. Ciò che è privato non è necessariamente migliore del pubblico e, soprattutto, queste scelte non possono avvenire solo per questioni di bilancio, senza considerare le ricadute sui servizi essenziali e sui lavoratori. I lavoratori di Asm Terni, sono molto preoccupati per il futuro dei servizi e dell’occupazione. E chiedono trasparenza e condivisione dei percorsi».

Comune «arrogante» Il sindacato ricorda di aver «già chiesto, dopo l’approvazione della legge di stabilità, il 4 febbraio scorso, un incontro con l’assessore Vittorio Piacenti D’Ubaldi, affinché l’amministrazione aprisse un confronto prima di assumere decisioni. Ma il confronto non c’è stato e dalla stampa apprendiamo la volontà di procedere verso la vendita e la riorganizzazione di pezzi importanti di aziende e sevizi pubblici. È molto grave che su scelte di questa importanza per il futuro dei lavoratori, non ci sia stata la correttezza di convocare le Rsu e le organizzazioni sindacali. Eppure, le precedenti scelte che sono state fatte nel passato sui servizi pubblici locali, avrebbero dovuto consigliare più cautela e minore arroganza. Siamo pronti a contrastare tutte quelle azioni, che non garantiranno la tutela dei lavoratori e la funzione pubblica delle aziende».

‘No inceneritori’ Vari decreti legge degli ultimi anni,  dice il comitato ‘No inceneritori’, «spingono verso la definitiva privatizzazione delle municipalizzate, ma questo non prevede che ai Comuni sia davvero sottratta la libertà di scelta tra pubblicizzazione e privatizzazione, che nel nostro caso vedrebbe passare alla partecipazione dei privati anche l’intera rete elettrica. Una gallina dalle uova d’oro, povera Asm. La stessa smart grid, tanto pubblicizzata dal presidente Ottone, è possibile e ha senso proprio nella misura in cui ad oggi è l’azienda pubblica a controllare e gestire la sua rete e in futuro ad efficientarla con evidenti vantaggi, e non certo per preparare e infiocchettare l’azienda per il mercato finanziario».

«Perché vendere?» Non è necessario, dice il comitato, «e non sono vietati gli appalti alle società in house, che anzi hanno ricevuto una serie di sentenze ‘di sostegno’ sulle possibilità di aggiudicazione di appalti per servizi sia dalla giurisprudenza italiana e comunitaria. Perché non passare a questo modello? L’opposizione alla privatizzazione di Asm è per noi motivata semplicemente dalla necessaria sottrazione dei beni e servizi comuni dal meccanismo del mercato, cioè dalla valorizzazione economica e finanziaria di beni essenziali che al contrario vanno gestiti dal pubblico e garantiti in modo accessibile a tutti i cittadini. Rifiuti compresi, si intende. Nel momento in cui i beni e servizi comuni finiscono di essere regolati dal semplice rapporto duale fornitura/bolletta, ma subentra l’elemento finanziario, che come sappiamo determina solo la possibilità di produrre denaro dal denaro stesso separando i profitti dalla produzione materiale, ecco che inevitabilmente avremmo dato la stura ad un imperdonabile errore».

Il M5S Secondo il consigliere comunale del M5S Thomas De Luca sarebbero addirittura «dodici i milioni di euro della tariffa sui rifiuti che il Comune sta trattenendo e che dovrebbero essere prontamente versati nelle casse di Asm. In terza commissione consiliare, durante l’aspro dibattito sul Piano di razionalizzazione delle partecipate, il M5S ha più volte rivolto all’assessore Piacenti D’Ubaldi una richiesta di spiegazioni in merito a questa paradossale situazione che lascia molti interrogativi emersa all’interno del dibattito. Che fine hanno fatto i soldi della tariffa? L’assessore divaga e non risponde di fronte alle rimostranze di alcuni rappresentanti dell’Asm presenti in terza commissione che invece profilano il problema come più che concreto».

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