‘Buona scuola’, salvi quasi tutti i professori

Secondo Anief, negli uffici scolastici di Perugia e Terni ci sarebbero solo 17 esuberi

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Diciassette, su 1.073. Uno ogni cinquanta, più o meno. Sono gli insegnanti precari umbri che, alla scadenza del termine per le domande dei precari per l’assunzione nella scuola – in base alla ‘Buona scuola’ del governo – risultano in esubero rispetto ai posti disponibili in regione.

I dati A fare il calcolo è stato il sindacato Anief secondo il quale sarebbero 20.429 gli insegnanti italiani che dovranno fare le valigie, se vorranno continuare a lavorare. Sono quasi un precario su tre di quelli che hanno fatto domanda, e sono quasi tutti del sud: «Sono dati ancora provvisori – anticipa Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – ed è molto probabile che, alla fine, quando si concluderanno tutte le procedure di assegnazione, a spostarsi davvero sarà un numero di precari inferiore, tra uno su tre e uno su cinque».

I posti  In totale i posti disponibili sono 69.552 e secondo il sindacato «verrà chiesto di emigrare al 57,51% dei precari siciliani, al 51,50% di quelli calabresi e al 46,1% dei campani. Sono le tre regioni da cui la migrazione verso altre regioni è decisamente più alta, circa un precario su due non troverà posto se non lontano da casa. Andranno nelle regioni dove ci saranno più posti disponibili: in Lombardia, dove rispetto alle domande arrivate dai precari locali avanzano 1.401 cattedre, in Piemonte 1.037, in Liguria 701. Altri posti avanzano in Friuli ed Emilia Romagna, ma molti di meno».

I nuovi emigranti In totale, a dover fare la valigia da sud a nord «saranno 17.291 precari del sud; mentre perquanto riguarda il centro Italia, saranno in 1.925 nel Lazio, 204 marchigiani, 992 toscani e, appunto, 17 umbri. Il Miur – dice Pacifico – deve allargare le immissioni in ruolo anche ai precari abilitati fuori delle graduatorie ad esaurimento. Tanti precari dopo aver servito lo Stato per anni sono stati sottoposti al ricatto dell’assunzione a centinaia di chilometri da casa, in barba al diritto di famiglia».

 

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