Obbligo vaccino, Tar Umbria stoppa 123 sanitari. «Ora si va al Consiglio di Stato»

Sentenza di merito sul ricorso in merito all’obbligo: avevano contestato la legittimità degli atti inviati due Usl. L’avvocato Granara preannuncia l’appello

Condividi questo articolo su

di S.F.

Ricorso inammissibile e condanna al pagamento a favore della Usl Umbria 2 di 6 mila euro per le spese di giudizio. In estrema sintesi è questa la sentenza che riguarda gli esercenti di professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario – tutti difesi dall’avvocato Daniele Granara – per gli adempimenti all’obbligo vaccinale previsto dall’articolo 4 del decreto legge del 1° aprile 2021. Non è finita qui come preannuncia il legale del foro di Genova.

La sede della Usl Umbria 2

Niente vaccinazione. Il ricorso

Sono 123 – 22 provvedimenti impugnati sono della Usl Umbria 1 ed i restanti 101 della Usl Umbria 2 – i sanitari interessati: «Alcuni di essi – si legge nel dispositivo – sono lavoratori dipendenti in favore delle diverse aziende sanitarie umbre, altri liberi professionisti, che esercitano le più svariate professioni in ambito sanitario, quali quella di medico, psicologo, psicoterapeuta, veterinario, farmacista, etc.. Altri sono lavoratori dipendenti di strutture sanitarie o socio-sanitarie private, che svolgono attività di segreteria, contabilità, assistenza tecnica ed altri infine sono lavoratori autonomi». Nessuno di loro si è vaccinato nonostante l’input imposto dal decreto legge. I ricorrenti hanno ricevuto le missive dalle Usl «contenenti l’invito a produrre, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legge 44/2021, la documentazione relativa alla vaccinazione già effettuata ovvero prenotata, ovvero all’inesistenza dei presupposti della sussistenza dell’obbligo vaccinale, ovvero la certificazione del medico di medicina generale necessarie per l’omissione o il differimento della vaccinazione, ovvero infine la richiesta di vaccinazione, con avvertenza che, in mancanza di riscontro entro il termine di cinque giorni, gli stessi sarebbero stati invitati a sottoporsi all’obbligo vaccinale e si sarebbe dato corso alla procedura di cui all’articolo 4, cc. 5 e ss., del citato decreto legge». Al Tar Umbria si sono rivolti per chiedere l’annullamento degli atti deducendone «l’illegittimità propria e derivata per molteplici ragioni, da accertare previo eventuale rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia dell’Unione Europea ovvero previo promuovimento di questione di legittimità costituzionale, e con condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento dei danni patiti e patiendi». Non andrà così. La Usl Umbria 1 non si è costituita in giudizio, la Usl 2 sì per via del legale Siro Centofanti.

Il Tar

Il problema di fondo

Il Tar innanzitutto spiega che i ricorrenti «impugnano cumulativamente atti adottati da diverse amministrazioni, detta circostanza sarebbe già da sola sufficiente per escludere l’ammissibilità dell’unico ricorso cumulativo proposto, dal momento che non può ravvisarsi, tra gli atti qui impugnati delle due amministrazioni resistenti, la connessione oggettiva che deriva dall’unicità della sequenza procedimentale o dell’azione amministrativa». Inoltre «nessuna indicazione ulteriore viene fornita per precisare quale sia il rapporto intercorrente tra ciascuno degli istanti e l’Usl di rispettiva afferenza: tale mancanza impedisce al tribunale di compiere la necessaria verifica in ordine all’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, indispensabile per valutare l’ammissibilità del ricorso cumulativo e collettivo». A ciò si aggiunge il fatto che dal ricorso – spiegano i magistrati amministrativi guidati dal presidente Raffaele Potenza – «non è dato comprendere se tutti i ricorrenti svolgono attività lavorativa in Umbria o anche, quali liberi professionisti o lavoratori dipendenti di aziende pubbliche o private, fuori regione, circostanza che rileva tenuto conto del fatto che, secondo l’art. 4, c. 3, del citato decreto legge, ciascun ordine professionale territoriale competente trasmette l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede, mentre l’iscritto potrebbe anche svolgere la propria attività lavorativa fuori regione, con conseguente necessità di distinguere la relativa posizione anche ai fini dello scrutinio della competenza territoriale del giudice in ordine agli effetti pregiudizievoli paventati nel ricorso come conseguenza dell’inottemperanza all’obbligo vaccinale». In definitiva serviva la distinzione delle singole posizioni per lo scrutinio della fondatezza del quarto motivo di ricorso, «con il quale viene dedotto che il procedimento avviato con gli atti impugnati si concluderà ‘in attuazione della didascalica previsione legislativa, con la somministrazione, imposta, della vaccinazione di cui trattasi, anche nei confronti di coloro che hanno già contratto la malattia Covid-19 e, pertanto, posseggono la così detta immunità naturale’, mentre nel ricorso manca qualsiasi indicazione in ordine a quali, tra i 123 ricorrenti, sarebbero già entrati in contatto con il virus e successivamente guariti dalla malattia e possiederebbero, pertanto, secondo la tesi fatta valere in giudizio, la cosiddetta immunità naturale».

Raffaele Potenza (foto Villa Umbra)

Focus Usl Umbria 2

In particolar modo per ciò che riguarda i ricorrenti legati alla Usl Umbria 2 «manca la produzione in giudizio dell’invito dell’Usl oggetto di gravame, circostanza che, unita al rilievo di parte resistente della assenza nel ricorso della specifica indicazione degli atti impugnati e dei rispettivi destinatari, impedisce di verificare per costoro la sussistenza delle condizioni dell’azione e, in particolare, dell’interesse a ricorrere, oltre che la tempestività dell’impugnazione». Dunque non si può «ravvisare l’unicità della sequenza procedimentale tra gli atti delle due amministrazioni resistenti e, inoltre, non potendo svolgersi la verifica in ordine all’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti (e, anzi, essendo chiaramente disomogenee le posizioni fatte valere in giudizio in relazione alla presenza di alcuni gruppi di ricorrenti, seppur non meglio identificati, quali i lavoratori dipendenti di aziende sanitarie pubbliche o di strutture sanitarie o socio-sanitarie private e coloro che possiederebbero l’immunità naturale per essere già guariti dalla malattia da Covid-19), il ricorso non può che ritenersi inammissibile in difetto dei presupposti necessari per la proposizione di un’azione cumulativa e collettiva».

L’obbligo. Si va al Consiglio di Stato

C’è un passaggio specifico sul decreto legge: «Alle ragioni appena indicate – si legge nella sentenza di merito – deve aggiungersi la considerazione che tanto l’obbligo vaccinale quanto le conseguenze della sua inosservanza risultano stabiliti direttamente dalla legge (l’articolo 4 del dl), con la conseguenza che gli atti delle Usl resistenti che intervengono nella realizzazione della fattispecie legale – sia la comunicazione impugnata, sia il futuro accertamento dell’eventuale inosservanza dell’obbligo vaccinale – si connotano per essere atti vincolati e (con riguardo al secondo) di mero accertamento. Nel procedimento finalizzato all’adempimento dell’obbligo vaccinale posto dalle disposizioni di legge appena richiamate, dunque, le amministrazioni resistenti non sono chiamate a svolgere alcuna attività provvedimentale». Si andrà al Consiglio di Stato? La risposta è affermativa: «Le preannuncio – il breve commento di Granara a umbriaOn – che faremo subito appello in Consiglio di Stato. Il ricorso non è affatto inammissibile». Vedremo gli sviluppi.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli