Covid e varianti: «Zone rosse non bastano, il virus circola»

La professoressa Mencacci, microbiologa dell’azienda ospedaliera universitaria di Perugia: «C’è preoccupazione, i casi qui sono sicuramente molti di più»

Condividi questo articolo su

Il provvedimento della Regione che ha istituito 65 ‘zone rosse’ in Umbria «non è abbastanza», perché «il virus si muove attraverso di noi, quindi per non farlo muovere non dobbiamo muoverci noi». Semmai, «quanto c’è intorno all’epicentro di un terremoto deve essere assolutamente attenzionato con la massima cautela». Parole della professoressa Antonella Mencacci, direttrice del laboratorio di microbiologia dell’azienda ospedaliera di Perugia, intervistata lunedì pomeriggio dalla trasmissione di Rai1 ‘Oggi è un altro giorno’. Ai microfoni della tv nazionale la professionista – che con il suo team ha sequenziato le varianti inglese e brasiliana del virus in Umbria – non ha nascosto la sua preoccupazione sulla situazione, perché – ha spiegato – «per vedere tutto questo numero di varianti evidentemente siamo in una zona dove ne circolano, anche in modo asintomatico, molte di più».

SPECIALE COVID – UMBRIAON

Il pericolo ‘terza ondata’

«La pericolosità delle varianti – ha continuato la professoressa Mencacci – sta nella loro contagiosità, si trasmettono molto più facilmente. L’inglese è sicuramente coperta dal vaccino, mentre la brasiliana, dato che dà le reinfezioni, potrebbe sfuggire alla risposta degli anticorpi». Quanto al modo in cui il suo staff ha scoperto queste varianti, sono stati diversi i campanelli d’allarme. «C’erano tre cose che non andavano: dei test di laboratorio che venivano diversi da prima, dei casi di infezione nei reparti non Covid che non avevamo mai visto e dei casi di reinfezione, cioè la presenza di soggetti che avevano superato la prima infezione e che dopo qualche mese si erano reinfettati. Tutto questo non quadrava, i campioni andavano sequenziati». In merito all’origine dei casi «non siamo stati in grado di risalire ad un ingresso dall’Inghilterra oppure dal Brasile – ha detto Mencacci -, è verosimile che siano casi di infezione secondaria». La certezza, per la professoressa, è comunque che «sono molti di più, perché con questa pandemia – ha concluso – vediamo il fenomeno più tardi rispetto a quando è cominciato ad originarsi».

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli