Covid Italia: «’Fase due’? Distinguere i lavori più che le regioni»

Quotidiana conferenza stampa della Prociv. Impennata dei casi ma cala la pressione sanitaria. Dieci fra regioni del centro-sud e province ‘speciali’ con meno di 10 nuovi contagi

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Quotidiana conferenza stampa, quella di giovedì 9 aprile, della Protezione civile nazionale per analizzare i dati del giorno in merito all’emergenza coronavirus in Italia. Con il capo dipartimento Angelo Borrelli, il professor Franco Locatelli (presidente Css). «I casi attuali sono 96.877 con un incremento di 1.615 unità (1.195 mercoledì, ndR) rispetto a mercoledì – ha detto Borrelli -. Dall’inizio dell’emergenza registriamo 143.626 casi di coronavirus (numero che comprende positivi, guariti e deceduti, ndR) ed oggi l’aumento è stato di 4.204 pazienti (3.836 mercoledì). I guariti sono 28.470, 1.979 in più rispetto a ieri (mercoledì l’incremento registrato era stato di 2.099 unità, ndR). Scendono ancora i ricoveri in intensiva: 3.605 attuali in intensiva, 88 meno di ieri. Sempre più persone in isolamento domiciliare e meno negli ospedali. Purtroppo registriamo 610 decessi».

EMERGENZA CORONAVIRUS – UMBRIAON

L’analisi

Locatelli, rispetto ai dati, ha spiegato che «degli ultimi cinque giorni, ben quattro si sono conclusi con un numero negativo di pazienti ricoverati rispetto al precedente. Per quel che riguarda le terapie intensive, siamo a cinque giorni su cinque con un calo rispetto alle 24 ore precedenti. Cala quindi la pressione sanitaria e assistenziale e tutto ciò va anche visto in una prospettiva che, quando si parla di ‘fase due’, non sempre viene adeguatamente sottolineata. C’è poi un altro elemento che merita di essere sottolineato: oggi, pur nel numero ancora importante di decessi che registriamo, ci sono dieci regioni del centro sud e una provincia autonoma, quella di Bolzano, dove questo numero è inferiore alle dieci unità. Anche questo è un successo importante, largamente da attribuirsi all’efficienza ed alla performance delle misure di restrizione, oltre alle capacità del sistema sanitario nazionale di aver fatto fronte ad una situazione emergenziale come questa. Oggi poi si è andati avanti nella costruzione del grande progetto dello studio di sieroprevalenza basato su dodici fasce di età: con altri colleghi abbiamo avuto una proficua teleconferenza, con i direttori generali e loro delegati delle regioni italiane e province autonome, per condividere ciò che sarà una sorta di modus operandi per cercare poi di attivare questo studio di sieroprevalenza su cui vi è largo consenso». Circa gli studi in corso, «la commissione tecnico scientifica di Aifa – ha detto Locatelli – ne ha approvati dodici ed altri sono in attesa della seconda valutazione dopo che sono state chieste delle implementazioni per la successiva approvazione. L’Aifa è largamente attivata anche per ciò che riguarda le indicazioni ai medici attraverso schede documentali preparate allo scopo, per gestire problematiche che dovessero configurarsi in caso di carenza di alcuni farmaci. Non ultimo mi preme sottolineare il ruolo della farmacovigilanza per il monitoraggio delle terapie in fase di studio».

Verso la ‘fase due’

Quali le regioni meno a rischio per la ‘fase due’? Chi ha più contagi o chi ne ha meno? E quali tipologie di lavoratori sono più e meno a rischio? Per Locatelli, su quest’ultimo aspetto, «aggregazione, esposizione e situazione ambientale sono i parametri di cui tenere conto. Per esempio gli assistenti di poltrona degli studi dentistici sono una categoria professionale fortemente esposta ad un rischio. Chi lavora invece per la silvicoltura, la cura dei boschi, rappresentano invece una categoria dove il rischio di contagio è marcatamente più basso. Queste riflessioni sono all’ordine del giorno di ogni valutazione da parte del comitato tecnico scientifico perché sentiamo in maniera chiara il bisogno di poter fornire indicazioni utili al decisore politico per prendere le scelte del caso. Altro esempio, i parrucchieri hanno un rischio lavorativo è significativamente più alto». Sulla gestione delle diverse regioni: «Ci sono un paio di argomenti che vanno in direzione opposta perché è ovvio che in una regione che ha un’alta incidenza della diffusione epidemica, il rischio di contagio è più elevato. Di converso però in una regione dove il tasso di incidenza epidemica è più basso, ragionevolmente si può ipotizzare che il numero dei soggetti che non hanno avuto una produzione anticorpale sia più alto. Così come possono esserci più soggetti suscettibili ad un’acquisizione virale. Credo che le politiche che verranno scelte dal decisore dovranno forse avere un carattere più nazionale che regionale, semmai valorizzando ciò che dicevo prima rispetto ai profili di rischio dei lavoratori».

Scuole, asili e materne

Distanziamento sociale nelle scuole, impossibile fra asili e materne. E allora lecito chiedersi se potranno riaprire a settembre. Posto che la didattica a distanza, in queste fasce di età, potrebbe non essere particolarmente produttivo o educativo. Locatelli ha detto di ritenere «prematuro allo stato attuale anche solo ipotizzare scelte per uno scenario applicativo di settembre. Credo vada limitato l’arco di prospettiva temporale. Come auspicio, spero ardentemente che questo problema non debba venire a porsi visto l’impegno che stiamo mettendo nella riduzione dell’indice di contagiosità. La seconda riflessione è che la scelta relativa a quanto è realistico interrompere qui l’anno scolastico, inteso come didattica frontale piuttosto che no, evidentemente spetta al ministro dell’istruzione e alla presidenza del Consiglio. Non voglio fare la figura di colui che non prova a dare una risposta comunque: negli scenari valutati, abbiamo anche considerato l’eventuale impatto della riapertura delle scuole. Sono certo che le scelte migliori verranno intraprese nell’interesse del paese».

I decessi fra medici e infermieri

Tanti decessi fra medici e infermieri, 103 i primi, circa 30 i secondi. Numero inimmaginabile per l’emergenza? Errori a monte? «A mio giudizio nessun operatore sanitario avrebbe dovuto perdere la vita per assistere i malati di Covid-19 – ha spiegato Locatelli -. Sono medico, attività clinica, ed è la parte che più mi piace del mio lavoro. Chi assiste malati come questi deve essere sempre messo nelle condizioni migliori, sia in termini di dotazione di dpi che i termini di percorsi di formazione. Questo scenario non l’avevamo mai vissuto e c’è stato anche un learning process, va detto. Se qualcosa può essere stato gestito in maniera non ottimale, lo vedremo con la dovuta attenzione e soprattutto con la puntigliosità che merita il sacrificio di tutte queste vite per far sì che non si ripeta più. Ma è importante dire a tutto il paese, agli infermieri, ai miei colleghi che c’è un’attenzione suprema per cercare di tutelarli visto il rischio professionale che stanno correndo». Su quali misure immagina rispetto alla ‘fase due’, Locatelli ha detto che «è importante ora che ognuno faccia ciò che è chiamato a fare. I membri del comitato forniscono orientamenti. Il decisore politico ha di fatto la necessità e l’onere delle scelte politiche. Dico in maniera chiara che tutto quello che riguarderà la riaccensione delle attività produttive non essenziali, andrà fatto con molta cautela».

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