«Crisi senza fine»: Cgil Terni vs Confindustria

Il sindacato contesta l’ottimismo del presidente Alunni, Romanelli: «Persi 3 mila posti di lavoro e tasso di disoccupazione più che raddoppiato»

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In Umbria ci si sposa sempre meno, non per libera scelta, ma per questioni economiche, diminuiscono le spese familiari sia in formazione che in attività culturali, è intoltre bassissimo il livello di investimenti privati nel sistema industriale, soprattutto per quanto riguarda sviluppo e ricerca. Parte da questi tre elementi statistici la riflessione della Cgil di Terni sul perdurare della crisi occupazionale ed economica sul territorio regionale ma soprattutto in quello della Conca, crisi suffragata anche dagli ultimi dati diffusi lunedì mattina dalla segreteria provinciale del sindacato, guidata da Attilio Romanelli.

La risposta

Una conferenza stampa, ha spiegato in apertura lo stesso Romanelli, «stimolata dalle recenti affermazioni sui generis del presidente di Confindustria Umbria, Antonio Alunni, secondo il quale i settori della chimica, della siderurgia e del tessile non sono stati toccati fa crisi» . «Ma dai dati raccolti dall’Ires e incrociati con quelli di altre strutture – ha continuato il segretario – emergono elementi che dicono ben altro e inducono un cambio di strategia, perché questa regione e questo territorio provinciale, che già registrano un reddito pro capite più basso di quello delle regioni confinanti, regrediscono ancora in maniera preoccupante».

I numeri e l’allarme

Eccoli dunque i dati, illustrati da Alessandro Rampiconi, che testimoniano un 2017 anche peggiore dell’anno precedente. Secondo i numeri dell’Osservatorio provinciale sull’economia della provincia di Terni, infatti, dagli 86.000 occupati registrati nel 2005, anno preso come riferimento prima della crisi, si è passati agli 88.000 del 2015 e agli 85.000 dello scorso anno, mille in meno rispetto al 2016. Se nel 2005 erano in 4.000 a cercare occupazione, nel giro di 12 anni il numero è più che raddoppiato, passando agli 11.000 del 2017, 2.000 in più rispetto al 2016. Sul totale dei nuovi contratti, non solo si è scesi dai 22.300 circa del 2005 ai 14.500 del 2017, ma è calata anche la fetta di quelli a tempo indeterminato, ad eccezione del 2015, l’anno in cui è entrato in vigore il Job Act.

Le donne le prime penalizzate

«Una riforma che ha però ‘drogato’ i dati, il lavoro oggi è molto più precario e molto meno stabile, non solo diminuisce il lavoro ma anche la sua qualità» hanno sottolineato i rappresentanti della Cgil. Quanto alle persone che non cercano lavoro e non lavorano, si è passati dai 90.000 del 2005 ai 108.000 del 2017, 2.000 in più rispetto all’anno precedente. Il tasso di disoccupazione a livello provinciale, sempre in 12 anni, è cresciuto dal 4,3% all’11,8%. A preoccupare – ha sottolineato Rampiconi – è anche il fatto che le imprese della provincia di Terni per la prima volta siano scese sotto la soglia delle 19.000 unità». Allarmante anche il fatto che la crisi sia stata pagata di più dalle donne, visto che stando ai dati Inps la differenza delle retribuzione medie è di ben quasi 37 punti percentuali (22.655 euro per gli uomini, 14.290 per le donne, oltre 8 mile euro in meno).

I nodi

«Per il 2018 non vediamo ancora segnali confortanti – hanno continuato Romanelli e Rampiconi -: anche aziende non toccate negli anni passati dalla crisi, come quelle del cluster della nautica, stanno cominciando a vedere l’apertura di cassa integrazione e ristrutturazioni, ci sono settori in cui la sindacalizzazione è assente, così come nel mondo della cooperazione ci sono situazioni lavorativa al di sotto della soglia di povertà. Anche nel settore degli appalti, a fronte della logica del massimo ribasso si aggredisce il costo del lavoro. Infine c’è preoccupazione per gli 80 giovani attualmente impiegati nel comparto dell’accoglienza degli immigrati che, a fronte del decreto sicurezza, a breve potrebbero vedere i propri posti di lavoro messi a repentaglio».

La proposta della conferenza

Nel settore della chimica, ha precisato Romanelli, «un movimento c’è, ma sono da comprendere alcune situazioni: sembra che Novamont abbia presentato un progetto nell’ambito dell’Area di crisi complessa, ma è da capire come si muove rispetto agli investimenti che farà a Pratica, dove avrebbe intenzione di trasferire tutta l’attività produttiva, concentrando a Terni quella della ricerca. Da tenere d’occhio anche la situazione di Covestro, in merito all’annunciato passaggio di proprietà, così come della Treofan, acquistata recentemente dagli indiani di Jindal». «Dunque – ha rilanciato Romanelli per conto della Cgil – serve convocare una conferenza cittadina per scattare una fotografia vera dello stato dell’area ternana e poi costruire insieme risposte in gradi di risollevare la comunità».

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