di S.F.
Il risarcimento dei danni prodotti dalla revoca anticipata del loro mandato in qualità di componenti del consiglio di amministrazione di FarmaciaTerni srl che, secondo i ricorrenti, era avvenuta senza una giusta causa. Questa la motivazione alla base della causa civile promossa da Stefano Mustica e Lorenzo Filippetti nel 2017 contro il Comune e la stessa società : a distanza di quattro anni c’è la sentenza del tribunale di Perugia – sezione imprese, composizione collegiale presieduta da Teresa Giardino – che rigetta la domanda.
L’inizio della storia
La storia si sviluppa in seguito all’assemblea straordinaria del 10 maggio 2017, quando fu anche deliberata la modifica di un articolo (16) dello statuto: spazio all’amministratore unico e non ad un consiglio di tre membri. Quindi ci fu l’elezione del nuovo Au (Fausto Sciamanna, ndr), diverso dai consiglieri fino a quel momento in carica: la causa è scattata sulla base dell’articolo 2383 del codice civile perché – la tesi sostenuta – è «che nella fattispecie non vi era la giusta causa della revoca; non poteva essere considerata – si legge nel dispositivo – tale la intervenuta modifica dello statuto, giacché a loro avviso neppure questa aveva una giusta causa, ma era stata escogitata dall’azionista unico – il Comune di Terni, difeso dagli avvocati Francesco Silvi e Paolo Gennari – al solo scopo di sostituire gli amministratori, divenuti sgraditi per motivi politici». Il legale dei ricorrenti è Alessandra Settimi, mentre sponda FarmaciaTerni ha seguito la vicenda Giovanni Ranalli.
La sentenza
Ricordati i primi passi della vicenda, i magistrati entrano nel merito della vicenda e spiegano che «si può ritenere incontroverso – anche per la contemporaneità e la connessione delle due deliberazioni – che la revoca degli amministratori in carica sia stata concepita dall’assemblea dei soci, o se si preferisce dall’azionista unico, quale conseguenza obbligata della modifica statutaria che aveva introdotto la previsione tassativa di un amministratore unico in luogo di un organo collegiale. Si può quindi ritenere soddisfatto, nella fattispecie, il principio che ai fini dell’articolo 2383 – la ‘giusta causa’ – deve emergere dalla stessa delibera di revoca, senza che si possa ricorrere ad integrarne la motivazione con deduzioni aggiunte in seguito. In sostanza, si può ritenere accertato che nelle intenzioni dell’assemblea deliberante l’organo amministrativo dovesse essere rinnovato in quanto la sua composizione attuale era divenuta incompatibile con la nuova formula statutaria. E, in effetti, l’incompatibilità sussisteva oggettivamente, in quanto lo statuto modificato prevedeva un organo monocratico e non più un organo collegiale». In ogni caso – aggiungono – «una modifica statutaria lesiva della posizione degli amministratori in carica dovrebbe essere formalmente impugnata dagli interessati nei termini di rito; il che nella specie non è stato fatto. Da questi profili problematici tuttavia si può prescindere, in quanto in concreto la modifica statutaria appare, prima ancora che fornita di ‘giusta causa’, doverosa per legge». In definitiva «lo statuto è stato doverosamente adeguato ad una norma di legge» e «nella vicenda esaminata la revoca degli amministratori appare sorretta da una ‘giusta causa’ oggettiva. L’assemblea dei soci non era tenuta a motivare e giustificare la scelta di dotare la società di un amministratore unico; questa era infatti la soluzione indicata preferenzialmente dalla legge. Avrebbe invece dovuto motivare e giustificare una eventuale scelta in senso contrario».