di Valerio Zafferani *
Nel precedente articolo abbiamo analizzato con alcuni esempi il funzionamento della matrice di materialità, cuore pulsante del processo di sostenibilità strategica, uno strumento estremamente efficace, se ben pensato, che fornisce all’azienda le chiavi di sviluppo presente e futuro secondo i criteri ESG. Ma cosa significa rendere efficace la matrice di materialità?
Chiaramente va progettata e focalizzata sul business ma con la consapevolezza di cosa significhi metter mano a tali processi. Il consulente per la sostenibilità deve dialogare in profondità con la proprietà aziendale e i vertici devono aprire le maglie comunicative dei propri stakeholder, affinché possa costruire tutto ciò che è pertinente e significativo per l’impresa. Il comprendere quali stakeholder siano più o meno determinanti e credibili, nonché la loro classificazione tra interni ed esterni, diviene esercizio essenziale per l’efficacia della matrice. E quindi: ideare e porre in essere sondaggi, interviste, analisi di clima aziendale e quant’altro sia necessario per inquadrare i punti di sviluppo. Suddividendo altresì tutto ciò per i tre criteri: Governance, Social ed Environmental (nonché l’aggancio ai goals degli SDG’s) che fotografino la realtà aziendale all’anno 0 e, soprattutto, che indichino dove vuole dirigersi l’azienda identificando gli impatti che le azioni posso avere sul core business. Non è un caso che oramai si parla di doppia materialità perché oltre l’impatto che essa può avere nel business tout court lo ha certamente anche a livello finanziario. E questo dovrebbe essere sempre più chiaro agli imprenditori rispetto alla rilevanza che avrà questa matrice nel tempo, anche perché resta un esercizio mutevole, e non statico, a seconda delle influenze esogene ed endogene all’impresa stessa.
È altresì chiaro che sarà necessario effettuare la “due diligence” di sostenibilità che, partendo dall’anno 0, mitighi gli impatti negativi fin tanto che si attende di sviluppare il processo della matrice. Tale processo infatti avrà l’ambizioso obiettivo di trasformare in positivo sia gli aspetti neutri che quelli negativi.
La difficoltà di questa operazione è l’analisi degli impatti e la creazione dei KPI (Key Performance Indicators) che indichino con valori misurabili il percorso di raggiungimento degli obiettivi dichiarati. Tra i vari strumenti di creazione di un obiettivo ci aiuta l’acronimo SMART. Infatti un obiettivo, affinché sia definito tale, deve avere le seguenti caratteristiche: essere specifico (S) chiaro, inequivocabile e che non sia ambiguo. Essere misurabile (M) perché ci serve capire a che punto siamo con i progressi in corso d’azione, diversamente non saremmo in grado di capire l’andamento del nostro effort. Essere attraente (A) in quanto va da se che un obiettivo deve essere tanto sfidante quanto piacevole da realizzare. Essere raggiungibile (R), ossia dobbiamo essere in grado di poterlo realizzare, altrimenti parleremmo di utopia. E, infine, deve essere tempificato (T) ossia avere rilevanza nel tempo con una data di raggiungimento dell’obiettivo, diversamente non saremmo in grado di focalizzare i nostri sforzi ed innalzare le performance.
Una volta essere riusciti a definire un obiettivo e monitorare i KPI si può iniziare il percorso di autovalutazione e passare quindi all’azione per sottoporsi a giudizio interno. L’importanza dell’atteggiamento dei vertici aziendali nell’autovalutazione è fondamentale. La capacità di restare neutri e riflessivi rispetto al processo aiuta a non inficiare la valutazione con aspetti emozionali (paure, eccitazioni, etc…) che in questa fase sarebbero deleteri. La capacità di coinvolgimento degli stakeholder diviene altresì determinate, anche secondo criteri innovativi di engagement, come elementi di gamification, che aiutino a stimolare l’ottenimento dei risultati piuttosto che risultanze plastificate e di dubbia utilità.
Analizzando quindi la distanza tra lo status quo e il desiderato, evidenziato nello sviluppo della matrice di materialità, si possono verificare quei scostamenti che dovranno essere colmati per il raggiungimento degli obiettivi. E’ chiaro che la misurabilità dei KPI, la loro efficacia e il rispetto temporale della tabella di marcia saranno necessari per il successo delle azioni aziendali. E solo dopo avere testato il tutto si potrà pensare ad un piano di azione vero e proprio con l’allocazione delle risorse necessarie per lo sviluppo, con il monitoraggio degli impatti delle azioni messe in atto, le verifiche a step intermedi e la chiusura del processo.
Utile a tale scopo risulta la conoscenza del Ciclo di Daming con il suo approccio sistemico ed integrato: il metodo PDCA (plan, do, check, act) permette di pianificare e programmare, eseguire, controllare e mettere a terra tutto il processo. Questo modello, che risulta efficace per il miglioramento continuo in un’ottica di lungo raggio (il cosiddetto Kaizen nipponico), non risente dei suoi quasi ottant’anni e la sua applicabilità, in tante sfumature della vita d’impresa, lo rendono molto duttile e concettualmente logico. A sua volta tutto il processo, una volta in atto, deve essere sottoposto a monitoraggio e misurazione costante secondo principi di legalità e rispetto di procedure interne affinché non deragli dalla via creata nel momento in cui inizi a portare risultati sia pratici che reputazionali. Può accadere che il processo di sostenibilità strategica risulti essere così potente tanto che l’azienda potrebbe dover ripensare la propria value chain (catena del valore) affinché il beneficio al cliente sia maggiormente produttivo. Tale aspetto non deve spaventare ma piuttosto essere di stimolo affinché la nuova mission aziendale possa essere più pregnante per tutto l’eco sistema che si sta delineando difronte all’impresa attrice del processo.
Solo dopo l’aver testato il processo di sviluppo sostenibile si potrà pensare, quindi, a rendicontare il tutto e comunicarlo, tanto internamente quanto esternamente, fissando dei nuovi obiettivi di secondo livello rispetto a quelli intrinseci al processo. Tema che tratteremo nel prossimo articolo.
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* ESG innovation manager per l’Umbria, consulente e formatore per la sostenibilità strategica, con esperienza nel settore del marketing e della comunicazione. Dopo aver operato come imprenditore nel settore dei prodotti naturali per 15 anni, ha canalizzato la sua attenzione per la sostenibilità focalizzandosi sulle politiche ESG. Nel 2021 ha debuttato come autore con il suo primo libro, ‘Quanto Basta’ (Intermedia Edizioni), che esplora la relazione con la clientela. Attualmente sta lavorando al suo secondo libro. Ha conseguito la laurea in scienze dell’amministrazione presso l’università di Siena e ha arricchito la sua formazione con tre master presso la 24 Ore Business School: gestione e strategia d’impresa, marketing e comunicazione, HR e sostenibilità. È anche l’anchorman del programma YouTube ‘Un’ora con…’, dove conduce interviste con professionisti ed imprenditori per promuovere la cultura aziendale e sociale.
