di Giovanni Cardarello
Che la crisi economica, a dispetto della narrazione, non sia alle spalle è un dato di fatto. Che l’inflazione percepita sia a due cifre è oggettivo. Che la ‘shrinkflation’, la riduzione della quantità di prodotto mantenendo o aumentando i prezzi, sia ormai una pratica costante è sotto gli occhi di tutti. Che la perdita del potere di acquisto, soprattutto per chi vive di stipendio, sia ormai consolidata è indiscutibile. Ma quando a confermare tutti questi elementi arrivano anche i numeri, la situazione diventa davvero preoccupante.
E i numeri che arrivano dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, con il rapporto BesT 2024 sono davvero pesanti. A darne conto è il qutidiano ‘La Nazione-Umbria‘ ed è un conto davvero salato. Un conto talmente salato che, nonostante la coesione sociale, la tenuta dei servizi pubblici e culturali, parla di una diminuzione del potere di acquisto del 3,7% a fronte del -1% della media nazionale. Tre volte tanto. E pensare che nel periodo analizzato dal rapporto, 2019-2023, il reddito complessivo nominale è cresciuto del 13,9% a fronte del +10,8% della media nazionale, dando vita ad uno scarto negativo ancora più netto.
Tutto questo vuol dire, in termini numerici, «una perdita secca di 865,5 euro pro capite in potere d’acquisto». La variazione peggiore tra tutte le regioni italiane. L’anello debole di una situazione già molto grave di suo, sono i lavoratori dipendenti che nel quinquennio 2019-2023 hanno perso il 10,7% del potere di acquisto a fronte di una media nazionale di -4,5%. Sorridono, ma amaramente, i pensionati umbri che nonostante il leggero aumento dei redditi reali, +0,9% rispetto al +0,5% della media nazionale, sono costretti a fungere da ammortizzatore sociale per figli e nipoti che, come accennato, hanno perso quasi l’11% del potere di acquisto.
Ma le spine non sono finite qui. L’altro grave corno del problema è lo spopolamento. Uno spopolamento messo nero da un recente studio dell’Aur, l’Agenzia umbria ricerche, secondo cui il cuore verde d’Italia passa dai 906 mila abitanti del 2010 agli 854.378 residenti del 2024. Un dato che è pesante non solo nelle zone interna ma anche nella città. Perugia dal 2010 al 2020 scende da 168.969 abitanti a 166.969, Foligno da 58.162 a 56.935, Città di Castello da 40.657 a 39.162 e Spoleto da 39.574 a 37.672. E i dati del 2024 sono anche peggiori.
Nella provincia di Terni, nonostante la sostanziale tenuta del capoluogo che perde ‘solo’ il 3,72% della popolazione, la situazione è ancora più critica. Spopolamento che, peraltro, proprio in questi giorni è approdato in consiglio regionale dove è stata approvata una mozione specifica. «Il contrasto allo spopolamento – ha dichiarato Francesco Filipponi (Pd), firmatario con Maria Grazia Proietti dell’atto – è un’iniziativa fondamentale da perseguire e portare avanti durante il corso della legislatura».
E veniamo, infine, ai due fattori che completano il quadro fosco. La bassa natalità e la fuga dei giovani. Rispetto al primo dato va evidenziato che nel 2023 il numero delle nascite in Umbria è sceso a 4.766, con un andamento praticamente analogo nelle due province. Il secondo dato ci dice che negli ultimi dieci anni dall’Umbria sono ‘spariti’ 15.420 giovani: nel 2014 i residenti di età compresa tra 15 e 34 anni erano 178.771 e nel 2024 se ne contano 163.351. Un calo dell’8,6% superiore alla media nazionale (del 5,8%). Numeri duri, pesanti, sia a livello economico che sociale, numeri che la politica, a tutti i livelli, dovrà tenere in grande considerazione se vuole riportare l’Umbria ai livelli che le competono.