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Home » Lavoro in Umbria, cresce quello precario

Lavoro in Umbria, cresce quello precario

di Marco Torricelli
24 Luglio 2017
in Apertura 5, Economia, Imprese, Lavoro
Tempo di lettura: 2 minuti di lettura
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Sono sempre cinque le regioni italiane che, nei primi cinque mesi del 2017, hanno ‘creato’ più lavoro dell’Umbria rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A dirlo è l’Inps nel ‘Rapporto sul precariato’ pubblicato venerdì. Confermando gli allarmi relativi alla precarizzazione lanciati da Ires e Cgil.

IL RAPPORTO INPS DI AGOSTO 2017 (ANCHE NELLA SEZIONE ‘DOCUMENTI’)

I dati Inps

Le assunzioni In Umbria le persone che sono state ‘collocate’ nei primi cinque mesi dell’anno, sono state 31.501 (con un incremento del 23,1% rispetto al 2016). La media nazionale è stata caratterizzata da un incremento del 16%. A fare meglio dell’Umbria sono state Marche (+34,4%), Emilia Romagna (+27,6%), Friuli Venezia Giulia (+27,4%), Puglia (26,4%) e Molise (26,3%)

I contratti Resta basso il numero di contratti a tempo indeterminato: 4.740 (erano stati 5.384 l’anno scorso, con un calo del 12%), mentre aumentano in modo notevole quelli a termine: 23.220 contro i 17.031 del 2016. Cresciute le assunzioni in apprendistato (2.211 contro 1.838), mentre sono diminuite quelle stagionali (1.330 contro 1.343). 

In Italia Secondo l’Inps «nei primi cinque mesi del 2017, nel settore privato, si registra un saldo, tra assunzioni e cessazioni, pari a +729.000, superiore a quello del corrispondente periodo sia del 2016 (+554.000) che del 2015 (645.000). Su base annua, il saldo consente di misurare la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro. Il saldo annualizzato (vale a dire la differenza tra assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi), a maggio 2017, risulta positivo e pari a +497.000. Tale risultato cumula la crescita tendenziale dei contratti a tempo indeterminato (+21.000), dei contratti di apprendistato (+48.000) e, soprattutto, dei contratti a tempo determinato (+428.000, inclusi i contratti stagionali e i contratti di somministrazione). Queste tendenze sono in linea con le dinamiche osservate nei mesi precedenti e attestano il proseguimento della fase di ripresa occupazionale».

Le tipologie Complessivamente, spiega Inps, «le assunzioni, sempre riferite ai soli datori di lavoro privati, nei mesi di gennaio-maggio 2017 sono risultate 2.736.000, in aumento del 16,0% rispetto a gennaio-maggio 2016. Il maggior contributo è dato dalle assunzioni a tempo determinato (+23,0%), mentre sono diminuite quelle a tempo indeterminato (-5,5%). A livello generale, oltre all’incremento dei contratti di somministrazione a tempo determinato (+14,6%), appare particolarmente significativa la crescita vigorosa dei contratti di lavoro a chiamata a tempo determinato, che, sempre nell’arco temporale gennaio-maggio, passano da 76.000 (2016) a 165.000 (2017), con un incremento del 116,8%. Questo significativo aumento dei contratti a chiamata a tempo determinato – e in parte anche l’incremento dei contratti di somministrazione – può essere messo in relazione alla necessità delle imprese di individuare strumenti contrattuali sostitutivi dei voucher, cancellati dal legislatore a partire dalla metà dello scorso mese di marzo. Questi andamenti hanno portato ad un’ulteriore riduzione dell’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni (25,9%) rispetto ai picchi raggiunti nel 2015 quando era in vigore l’esonero contributivo triennale per i contratti a tempo indeterminato».

Le retribuzioni Quanto alla composizione dei nuovi rapporti di lavoro in base alla retribuzione mensile, «si registra, per le assunzioni a tempo indeterminato intervenute a gennaio-maggio 2017, una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a 1.750 euro (55,0% contro 57,9% di gennaio-maggio 2016)». Quanto alla composizione dei nuovi rapporti di lavoro in base alla retribuzione mensile, «si registra, per le assunzioni a tempo indeterminato intervenute a gennaio-aprile 2017 – spiega l’Inps – una riduzione della quota di retribuzioni inferiori a 1.500 euro (33,6% contro 35,5% di gennaio-aprile 2016)».

 

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