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Home » Libera: «Umbria, un ‘covo freddo’ di mafia»

Libera: «Umbria, un ‘covo freddo’ di mafia»

di Lucina Paternesi
11 Marzo 2016
in Cronaca, Dal territorio
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
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Dagli anni 70, quando arrivano ‘al confino’ le prime famiglie mafiose, fino all’interdittiva firmata dal prefetto De Miro nei confronti di Gesenu e Gest lo scorso autunno.

L’incontro Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie ha organizzato giovedì un incontro di sensibilizzazione in vista del 21 marzo, la giornata nazionale in ricordo delle vittime delle mafie. Così all’università per stranieri, giovani, studenti e cittadini si sono riuniti per un momento di riflessione sulla criminalità organizzata e l’evoluzione che ha avuto nel territorio umbro, dal suo insediamento in Umbria fino agli strumenti per contrastarla. All’incontro hanno partecipato anche i giornalisti Fabrizio Ricci e Umberto Maiorca.

La ricostruzione A partire dalla presenza delle carceri di massima sicurezza, come quello di Spoleto, fino alla ricostruzione post terremoto del 1997 l’Umbria si è venuta configurando come ‘covo freddo’ delle mafie, il luogo, cioè, dove le organizzazioni criminali ripuliscono il denaro sporco e si insinuano. Proprio questa sua peculiare connotazione di regione tranquilla – scriveva il procuratore di Perugia Fausto Cardella nel 1994 – costituisce l’humus, l’ambiente nel quale più specificatamente e meglio possono realizzarsi determinate attività economiche finanziarie illecite o per lo meno con forti connotati illeciti. Mi riferisco appunto agli investimenti al riciclaggio dei quali noi abbiamo dei segni inquietanti che devono esser oggetto della nostra attenzione».Ne è convinto anche Umberto Maiorca, che sottolinea come la ‘ndrangheta in Umbria abbia grossi interessi, controlla gran parte del traffico di droga, ripulisce e reinveste parte dei proventi infiltrando l’economia pulita. «Anche il boss Salvatore Lo Piccolo operava in Umbria nella ricostruzione post-sisma».

Inchieste E poi ci sono le inchieste della magistratura, non solo quelle per droga, ma anche Apogeo che nel 2011, a Ponte san Giovanni, ha portato a 16 ordinanze d’arresto e al sequestro di beni mobili e immobili del valore di 100 milioni di euro per un vasto giro di riciclaggio da parte di clan legati ai Casalesi. Fino all’operazione Quarto passo, di cui è in corso il processo, che ha messo in luce gli intrecci con la cosca di ‘ndrangheta dei Farao-Marincola e che ha portato al sequestro di 39 imprese, 108 immobili, 129 autovetture e poi contratti d’assicurazione, rapporti bancari a centinaia. Una vera e propria holding del crimine, con centro a Ponte San Giovanni e ramificazioni in tutta l’Umbria e fuori, nelle zone limitrofe di Marche, Lazio e Toscana.

Gesenu Si arriva così a quell’informativa dei carabinieri che, lo scorso maggio, ipotizza la presenza di ambienti malavitosi all’interno di Gesenu, in Sicilia, con «29 dipendenti della società Gesenu spa pregiudicati anche per gravissimi reati, quali associazione per delinquere di stampo mafiosa, estorsione, rapina, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti». Molti di questi umbri e già noti per crimini di stampo mafioso spesso legati allo smaltimento dei rifiuti e che ha portato alla firma dell’interdittiva antimafia da parte del Prefetto. Ma la mafia, in Umbria, c’era arrivata già prima a cercare di infiltrarsi nel business dei rifiuti. A Orvieto, alla discarica Le Crete, negli anni dell’emergenza rifiuti in Campania, tra il 2003 e il 2004, i rifiuti di tutti i tipi venivano trasportati in Umbria attraverso società in subappalto segnalate dalla prefettura di Napoli come controllate da un appartenente al clan Mallardo-D’Alterio.

I terreni «A Col della Pila – racconta ancora Maiorca – più di mille metri quadrati di edifici circondati da 95 ettari di prati e bosco, una proprietà acquistata più di trenta anni fa da una s.r.l. la Safi intestata a Rosa Errigo e Francesca Cangemi, ma nessuno ha mai coltivato un ettaro. Poi è stato confiscato perché di proprietà della potente ‘ndrina dei De Stefano, la cosca più potente della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Passati definitivamente alla Agenzia del Demanio è solo uno dei tanti sequestri fatti in Umbria. Il podere di Col della Pila era un investimento, una base da sfruttare all’occorrenza o da prestare a ‘ndrine alleate da decenni insediate in Umbria come per esempio, quella dei Facchineri, l’Umbria è la loro patria d’elezione, dopo la sanguinosa faida a Cittanova con il clan di Raso-Albanese, dedita a traffici di droga, riciclaggi e autrice del clamoroso sequestro Garinei avvenuto a Città di Castello nel 1984».

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