di Michele Medori
Direttore Confartigianato Imprese Terni
La legge di Stabilità 2016, che il Consiglio dei ministri dovrà licenziare entro settembre per poi essere sottoposta al voto del parlamento, assume una valenza significativa non solo in termini finanziari, ma anche rispetto all’evoluzione delle strategie economiche dell’Unione europea.
La cornice prevista dal governo è fondata principalmente su una forte riduzione delle tasse per circa 45 miliardi di euro nel triennio 2016-2018, iniziando dai 5 miliardi che il fisco incassa dalla Tasi e dall’IMU che gravano sulla casa; disinnescare le clausole di salvaguardia per il rispetto dei vincoli europei per un valore di 16,2 miliardi di euro, per non aumentare l’IVA al 24% e le accise; modifiche al sistema pensionistico per favorire l’anticipo di uscita dal lavoro, stabilizzare i fondi per la decontribuzione in entrata nel mercato del lavoro.
Provvedimenti che nell’intenzione del governo dovrebbe permettere all’Italia di raggiungere una crescita, per il 2016, superiore all’1% del Pil ed affrontare al meglio le scosse telluriche di sistema che periodicamente si avvertono sullo scenario internazionale, dal rischio ancora latente di ‘Grexit’, con il conseguente default della Grecia e gli effetti sulla tenuta dell’Euro, ai sempre più frequenti segnali di instabilità finanziaria provenienti dalla Cina, che potrebbero scatenare una crisi economica mondiale superiore a quella del ’29, oltre ai tanti nodi gordiani presenti come la bassa inflazione, il prezzo eccessivamente basso del petrolio a causa di un’offerta più alta della domanda, l’eccesso di liquidità che non viene investito nel sistema produttivo, che si aggiungono alle difficoltà interne della nostra economia, che anche nel 2015 crescerà in modo anemico dell’0,6-0,7% e, purtroppo, senza un aumento significativo dell’occupazione.
Questo quadro macro economico in cui si muove l’Italia necessita, per avere le risorse necessarie ai provvedimenti che saranno previsti nella legge di Stabilità, della clausola europea di flessibilità che permette di derogare dal rispetto degli impegni economico-finanziari previsti dai parametri Ue in caso di congiuntura negativa o di attuazione di riforme in essere. Un passaggio stretto perché l’Italia ha già beneficiato della clausola nel 2015 per circa 6 miliardi di euro, una correzione del deficit strutturale dello 0,1% rispetto al previsto 0,5% del Pil.
Ora, per il 2016, il governo dovrebbe chiedere una correzione del rapporto deficit/Pil dello 0,7%, dal previsto 1,8% slittare al 2,5%, sempre sotto al 3%, limite posto per evitare la procedura per eccesso di deficit. Inoltre c’è il tema del debito pubblico che proprio nel 2016 dovrebbe scendere, secondo gli impegni italiani, dal 132,5% al 130,9% del Pil. Valori a cui guarda con attenzione la Commissione europea, secondo l’articolo 126.3 del Trattato ma anche i mercati finanziari, particolarmente nervosi nel periodo. Riuscire a convincere gli uffici di Bruxelles della validità della manovra 2016, con le deroghe, significa aprire una breccia a favore delle politiche di crescita e sviluppo nel Vecchio Continente.