Una società che commercia metalli preziosi, con sede presso lo studio di un professionista di Montefalco, è finita sotto la lente della Guardia di Finanza del comando provinciale di Perugia – in particolare della Compagnia di Foligno – perché, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, «tra il 2017 e il 2023 ha emesso fatture false per operazioni inesistenti per un valore complessivo di oltre 76,7 milioni di euro, con un’Iva evasa pari a 16 milioni di euro». Le indagini delle Fiamme Gialle folignati, con il coordinamento della procura di Spoleto, sono andate avanti per cinque anni e sono state svolte con un approccio ‘trasversale’, «coinvolgendo diversi settori operativi del Corpo, tra cui l’ambito valutario, penale e tributario».
«Il capo dell’organizzazione – spiega una nota della Guardia di Finanza -, assistito da un consulente fiscale locale e da altri dieci complici operanti in Umbria (nei comuni di Montefalco e Spoleto) e nel Lazio (Roma e hinterland capitolino), ha orchestrato un meccanismo di false fatturazioni che ha consentito alla società di ottenere un indebito credito d’imposta di dimensioni milionarie. A seguito dell’inchiesta, dodici persone sono state denunciate per reati tributari, tra cui l’emissione e l’utilizzo di fatture false e la dichiarazione infedele».
«Il sodalizio criminale – prosegue la nota – avrebbe orchestrato una serie di scambi illeciti di metalli preziosi, tra cui quintali di argento in rottami, numerosi chili di oro, rodio, platino e palladio. Tali transazioni, contraddistinte da un’evidente falsificazione documentale, sono state realizzate senza alcun giustificativo di trasporto o, nei rari casi in cui era presente una documentazione, con errori formali evidenti e grossolani. Particolarmente sospetta è stata la figura dei cosiddetti ‘falsi fornitori’ che si sono rivelati privi di una struttura aziendale anche minimale, senza beni strumentali e dipendenti, ma in grado di gestire operazioni commerciali di tale portata. In un caso, uno dei presunti fornitori risulta essere in realtà un dipendente di una parafarmacia e non un imprenditore nel settore dell’oro, smentendo ulteriormente la veridicità delle transazioni in questione».