Michelangelo Scandroglio: il ‘bohémien’ del jazz

Talento cristallino e precoce, ha già ottenuto premi e riconoscimenti che lo proiettano sulla scena internazionale da protagonista

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di Danilo Bazzucchi

Michelangelo Scandroglio studia jazz con il grande contrabbassista italiano Ares Tavolazzi e contrabbasso classico con M.Gabriele Ragghianti all’ISSM ‘Boccherini’ di Lucca. Ha perfezionato i suoi studi di jazz con Joe Sanders, Harish Raghavan, Ben Street a Siena Jazz durante il summer workshop e studi classici con masterclass di Alberto Bocini, Jeff Bradetich, Sorin Orcinschi, Franco Petracchi. Nel 2018, appena ventenne, è stato uno dei vincitori del ‘Riga International Jazz Bass Competition’ dove, oltre al premio, ha ricevuto un invito ufficiale per suonare al Beijing Jazz Festival dal direttore artistico e fondatore Adam Huang Yong. Nel 2018 ha ricevuto il prestigioso premio ‘Tomorrow’s Jazz’, indetto da Veneto Jazz, come uno dei migliori giovani talenti del jazz italiano. Nel 2019 vince ‘AIR 2020’, il bando nazionale ideato da MIDJ e sostenuto da SIAE, finalizzato a incentivare la crescita del jazz italiano attraverso la creazione di una rete di residenze per giovani artisti in collaborazione con le ambasciate italiane, gli istituti italiani di cultura e i consolati esteri in Europa e nel mondo. Nello stesso anno, con il ‘Michelangelo Scandroglio group’, viene premiato da una giuria composta da alcuni dei più importanti giornalisti italiani di jazz e presieduta da Paolo Fresu con il primo premio assoluto al Conad Jazz Contest indetto da Umbria Jazz. Nel 2020 esce ‘In the Eyes of the Whale’ per la casa discografica ‘AUAND’, il suo primo album come leader e compositore: con Alessandro Lanzoni al pianoforte, Peter Wilson alla chitarra, Bernardo Guerra alla batteria, Hermon Mehari alla tromba, Michele Tino al sax e come special guest la star del jazz internazionale Logan Richardson. Il progetto nell’autunno 2019 vince il bando ‘Nuova Generazione jazz’ indetto da I-Jazz e sostenuto da MiBAC (ministero dei beni e delle attività culturali), il quale prevedrà numerosi concerti nelle rassegne, nei club e nei festival di prestigiose istituzioni e città italiane ed europee ‘Italian Jazz Days’, showcase annuali, residenze e progetti artistici. La musica è stata presentata in anteprima in alcuni dei più importanti festival tra cui: Umbria Jazz, Paese Jazz Fest, Parco Del Castello Festival (Matera), Umbria Jazz Winter, JAZZMI, Venezia Jazz Festival, Grey Cat Jazz Festival 2019, Dizzy’s, A Jazz Supreme (Opening to Iverson/Turner), Firenze Jazz Festival, Catania Jazz Festival, Veneto Jazz. Oltre all’attività di compositore e band-leader, Michelangelo è da sempre attivo come sideman e ha avuto l’opportunità di suonare e collaborare con giganti del jazz italiano tra cui: Enrico Rava , Stefano ‘Cocco’ Cantini, Nico Gori, Carlo Atti, Flavio Boltro, Fabrizio Bosso, Stefano Tamborrino, Alessandro Lanzoni, Walter Paoli, Francesco Ciniglio e alcuni dei musicisti più riconosciuti a livello internazionale tra cui Logan Richardson, Glenn Ferris, Ben van Gelder, Marvin ‘Bugalu’ Smith, Alex Sipiagin, Gregory Hutchinson, Seamus Blake.

Nonostante la giovane età hai fatto tantissime cose, dischi, collaborazioni con musicisti jazz molto importanti sia nazionali che internazionali, hai vinto premi e sei, a detta di molti, un predestinato, un enfant prodige del jazz. Che effetto fa? Quanto è cambiata la tua vita da qualche anno a questa parte?

«Ringrazio le persone che pensano questo di me, ma enfant prodige è un titolo che proprio non sento mio. Sento di avere molte cose da dire e sto cercando di trasmetterle nel miglior modo possibile. La musica non è un premio o una competizione, ma sicuramente queste sensazioni sono opportunità che mi hanno aiutato tantissimo a crescere professionalmente».

Cosa ti ha portato a scegliere il contrabbasso come strumento da suonare?

«Avevo più o meno 13 anni ed ero con la mia famiglia in vacanza a Barcellona. Mentre camminavo nelle ramblas vidi un negozio di musica che esponeva in vetrina un bellissimo basso elettrico nero. Non credo nell’amore a prima vista, ma ricordo quel momento come se fosse ora, con tutta la sua carica di poesia e energia. Ebbi la stessa folgorazione qualche anno dopo vedendo un video di un live di John Coltrane dove Jimmy Garrison faceva un solo sul brano ‘Impressions’. Credo che mi abbia attirato la profondità del suono e la fisicità dello strumento. Adesso amo e inizio a comprendere ogni giorno di più il ruolo del basso nella musica».

A che età hai iniziato a studiare musica e a suonare?

«Ho iniziato relativamente tardi. A 13 anni impugnavo il mio primo basso, subito dopo la vacanza a Barcellona. È stato il mio primo strumento e non l’ho mai cambiato. Ho iniziato a suonare nei garage con i miei amici, principalmente rock e blues, sono stati periodi fondamentali per la mia crescita musicale. Il jazz è arrivato quasi subito dopo, più o meno quando avevo 16 anni, ed è sempre stato affiancato dallo studio della musica classica in conservatorio».

Come hai trascorso il periodo della pandemia, quando non si poteva uscire, suonare e fare concerti? Che cosa hai fatto?

«Ho passato varie fasi nella pandemia. Nella prima, ho quasi completamente staccato il mio rapporto con la musica. Credo che mi abbia fatto benissimo per comprendere quanto la ami e quanto alle volte la dia per scontata. Successivamente mi sono dedicato molto alla composizione e ho scritto le musiche per il mio prossimo disco. Ne ho approfittato per cercare di ristabilire una routine di studio concreta, cosa che non facevo da anni perché con il tipo di lavoro che sto cercando di fare, principalmente musicista da concerto, è praticamente impossibile creare un ritmo di lavoro stabile».

Hai sempre pensato di fare il musicista o magari da piccolo sognavi di fare qualcos’altro?

«Da piccolo volevo fare il ‘bohèmien’ perché ci trovavo un profondo senso di libertà nello scegliere cosa fare della propria vita ogni giorno. Ho sempre amato la dimensione del viaggio e dell’avventura e da bambino fantasticavo sulla mia vita futura sempre a giro per il mondo. Oggi ci provo, mia madre è disperata perché non sa mai dove sono».

Al momento hai fatto un disco, ‘In the Eyes of the Whale’, il cui titolo dà il nome ad un brano presente nell’album. Vuoi parlarci di questo lavoro che è composto da sette pezzi?

«’In the Eyes of the Whale’ rappresenta un punto di vista, un istante fotografato e immortalato nel tempo. Si tratta di brani originali scritti in un periodo della mia vita contraddistinto da un movimento, quello dalla piccola città alla grande realtà del mondo. Mi sono affidato ad alcuni dei miei musicisti preferiti per realizzarlo e sono molto contento del prodotto che è uscito. È stato fondamentale anche il supporto di Marco Valente dell’etichetta Auand e della coproduzione del fonico Stefano Bechini».

Dal tuo punto di vista, come è la situazione attuale del jazz in Italia e in Europa? Viene seguito anche dai giovani o, come dice qualcuno, è solo ‘musica per vecchi’?

«Sono felicissimo di essere nato in questa epoca storica perché dovunque mi giri trovo musica e musicisti formidabili ed interessantissimi. Il pubblico in Europa è sempre molto entusiasta e credo che il jazz stia vivendo un periodo d’oro, sicuramente dovuto alla sua fusione con altri generi come rock, elettronica e rap. In Italia trovo quasi sempre il pubblico più difficile».

Classica domanda finale: quali sono i tuoi progetti attuali e quelli futuri? E se hai un sogno (quello classico nel cassetto) qual è?

«Credo che la morte di un artista avvenga quando ripete se stesso. Voglio andare avanti, sia artisticamente che umanamente, sempre».

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