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Home » Omicidio Presta, sentenza il 17 giugno

Omicidio Presta, sentenza il 17 giugno

di Elisa Marioni
13 Aprile 2017
in Apertura 5, Attualità
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
Il presidio

Il presidio

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Finite le richieste delle parti civili nel processo per l’omicidio di Raffaella Presta. Dopo quelle della famiglia, rappresentata dal legale Marco Brusco, oggi è stato il giorno delle associazioni che hanno confermato la richiesta dell’ergastolo per Francesco Rosi, l’agente immobiliare di 44 anni accusato di aver ucciso la moglie, avvocato penalista di 40 anni, il 25 novembre 2015.  La sentenza è attesa per il 17 giugno.

IL PRESIDIO DELLE ASSOCIAZIONI IN TRIBUNALE – VIDEO

Il presidio Davanti al tribunale di via IV settembre di Perugia, in occasione dell’udienza, si sono riunite le attiviste della rete ‘Non una di meno’ per chiedere «una giustizia più attenta e rispettosa, meno maschilista e sessista nei confronti delle donne vittime di violenza». Un’iniziativa nazionale, che si è svolta davanti ai tribunali di tutta Italia, che però a Perugia è caduta proprio nel giorno delle associazioni che si sono costituite parti civili nel processo Rosi: ‘Liberamente donna’, ‘Rete delle donne antiviolenza onlus’ e il centro per le pari opportunità. «Per noi è una giornata molto importante – ha detto Sara Pasquino di ‘Liberamente donna’ – perché in questa udienza abbiamo potuto esprimere le nostre perplessità nei confronti di un sistema che non tutela adeguatamente le donne vittime di violenza. Non abbiamo risposte concrete da dare alle donne che denunciano ed è per questo che Raffaella non l’ha fatto». 

La richiesta Vogliono l’ergastolo per Francesco Rosi, dunque, anche le associazioni. Varie invece le richieste di risarcimento, ma Sara Pasquino sottolinea che non è questo il punto: «Nulla potrà mai risarcirci davvero. Il nostro sentirci svilite si riferisce alla condizione della donna nella società, per questo bisogna lavorare a livello sociale e non soltanto attraverso le pene».

Mobilitazione nazionale I sit-in davanti ai tribunali erano stati lanciati dalla rete ‘Non una di meno’ di Torino, a seguito della pronuncia della sentenza che ha assolto, nel capoluogo piemontese, «perché il fatto non sussiste», un uomo accusato di stupro e molestie nei confronti di una dipendente «che da parte lesa è diventata imputata per calunnia». Nelle motivazioni della sentenza, infatti, si legge che la donna «non avrebbe urlato né pianto e avrebbe continuato il turno dopo gli abusi, senza riferire di sensazioni o condotte spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale». Motivazioni molto preoccupanti, per le donne della rete impegnata nella lotta alle violenze di genere. «Nei tribunali le donne che denunciano violenza non vengono credute – dicono – e vengono messe sotto la lente di ingrandimento per le loro abitudini e stili di vita. È necessario che nei tribunali, i processi per stupro e maltrattamenti vengano affrontati diversamente e che la magistratura che si occupa di violenza di genere sia consapevole della precisa responsabilità politica e sociale che ha nel giudicare. Chiediamo giustizia per Laura che non ha urlato, per Raffaella che non ha denunciato».

Le prossime tappe Intanto a Perugia si tornerà in aula il 10 maggio, giorno dell’arringa del difensore dell’imputato, poi il 17 maggio per le repliche. La sentenza è attesa invece per il 17 giugno. «Ormai siamo in dirittura d’arrivo – ha commentato fuori dal tribunale l’avvocato della famiglia Presta – ci aspettiamo una condanna giusta».

La vicenda Raffaella Presta, avvocato penalista, fu uccisa il 25 novembre 2015, con due proiettili calibro 12. A sparare Francesco Rosi, il marito, che dopo averla uccisa ha chiamato i carabinieri e si è costituito. Un matrimonio durato 20 anni, macchiato da litigi e violenze venute a galla solo dopo il delitto. Quando Rosi ha sparato alla moglie, nella stanza di fianco dell’appartamento in via del Bellocchio, non lontano dalla stazione di Perugia, c’era il figlio di 6 anni che non ha assistito al delitto. Durante un interrogatorio il marito aveva dichiarato di aver agito per un raptus. Secondo il pm Valentina Manuali, Rosi «avrebbe agito con premeditazione e per motivi futili, avrebbe tenuto il fucile sotto il letto per poterlo utilizzare nel momento che riteneva più opportuno», ha spiegato nella requisitoria del 17 marzo scorso.

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