Protezione anti Covid: «L’industria ‘dell’emergenza’ rispetti le regole»

Mille imprese in Italia sono pronte a ‘tuffarsi’ nel mercato dei dpi. Ma c’è consapevolezza – fra produttori, istituzioni e medici – di cosa sia davvero necessario per essere sicuri?

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di F.T.

Oltre 17 mila operatori sanitari in Italia colpiti a metà aprile dal Covid-19. Di questi più di 150 sono, purtroppo, deceduti. Numeri impressionanti nel contesto di un’emergenza che è sì mondiale, ma che richiede – anche per ciò che attiene i dispositivi di protezione individuale – la massima consapevolezza di cosa può essere utile e cosa no. La dottoressa Monica Tocchi, cardiologa, fondatrice di Meditrial ed esperta internazionale di regolamenti, richiama: «I percorsi autorizzativi accelerati dal Covid non compromettano la sicurezza degli operatori sanitari che sono in prima linea, ma anche di tutti gli italiani che con rigore e senso civile continuano ad obbedire alle regole e si interrogano su come proteggere al meglio se stessi e i propri cari».

Monica Tocchi

L’importanza della chiarezza

L’emergenza dpi e ventilatori durante la pandemia di Covid-19, il modo di come ottenere subito il ‘via libera’ dal Governo ed avere a disposizione prodotti sicuri, sono i temi affrontati nella conferenza online (GUARDA QUI) tenuta dalla dottoressa Tocchi ed introdotto da Stefano Lagravinese – responsabile della piattaforma formazionenelfarmaceutico.com – a cui hanno preso parte numerosi operatori del settore.

Il virus e i suoi effetti

Il punto di partenza non può che essere una panoramica della malattia da coronavirus che – afferma Monica Tocchi – «oltre ad essere strettamente legata a polmoniti che nei casi più gravi richiedono assistenza respiratoria con ventilatore, causa una ‘tempesta infiammatoria’ che ha come bersaglio anche altri organi e apparati». Da qui l’elevata mortalità per chi soffre già di patologie più e meno croniche.

Sanitari positivi, dramma nel dramma

In Italia sono 172 mila i pazienti colpiti da questa pandemia che ha causato 23 mila vittime, numer talmente elevati da superare qualsiasi riserva di dpi e ventilatori che il sistema nazionale potesse avere. «A tale situazione – spiega la dottoressa Tocchi – si è andata ad aggiungere l’incapacità da parte di numerosi paesi del mondo, non solo l’Italia, di contenere, almeno nelle prime fasi, la diffusione dell’infezione fra il personale sanitario». Al 16 aprile in Italia erano oltre 17 mila – circa il 10% dei casi totali – i professionisti della sanità positivi al Covid-19 e oltre 150 coloro che avevano perso la vita.

Necessità di proteggere e carenza di materiali

Tema cruciale, in un contesto del genere, è ovviamente la protezione di medici, infermieri, operatori sanitari a tutela dei pazienti. In campo ci sono le mascherine per uso medico e i dispositivi di protezione individuale. Le prime destinate a proteggere il paziente, i secondi il professionista sanitario. Fra i dpi figurano mascherine filtranti, visiere, occhiali, copricapo, tute, camici, calzari, guanti. Materiali che le imprese stanno producendo ora in grande quantità ma la cui carenza, soprattutto in alcune fasi dell’emergenza, ha concretamente messo a rischio delle persone centrali nel contesto della guerra che gran parte del mondo sta combattendo. Tema, quello della carenza, che ha interessato l’Italia così come altri paesi, anche gli Usa. Dietro le quinte, poi, pesa anche la speculazione con prezzi letteralmente ‘esplosi’, per le strutture sanitarie, gli esercenti e quindi i cittadini.

Le misure italiane

«Il decreto Cura Italia – chiarisce Monica Tocchi – ha introdotto risorse, finanziamenti a fondo perduto e regole semplificate per la produzione di alcuni dispositivi, anche se privi del marchio CE. Con uno stanziamento di 50 milioni di euro, sono oltre mille le aziende che hanno intrapreso questo percorso per ampliare la produzione o riconvertirsi, incluse le grandi imprese della moda o del tessile. È necessaria però grande prudenza – spiega la dottoressa Tocchi. – Faccio un plauso alle tante aziende che si sono rese disponibili a riconvertirsi, però bisogna fare molta attenzione a consegnare dispositivi che siano realmente protettivi per evitare una falsa sensazione di sicurezza nelle persone. Molte aziende che si sono attivate, sono in perfetta buonafede. Tuttavia la difficoltà di ottenere le approvazioni rapide, mette in evidenza la necessità di comprendere e rispettare tutti i requisiti richiesti. Bisogna dire con chiarezza che solo le mascherine che rispettano le norme tecniche previste e gli standard di qualità, possono proteggere la vita dei nostri operatori».

I rischi ci sono e vanno ‘governati’

In effetti i ‘percorsi accelerati’ – attinenti tanto l’Istituto superiore di sanità quanto l’Inail – consentono di ricevere in circa tre giorni, autorizzazioni che in altri periodi era possibile ottenere nell’arco temporale di alcuni mesi. Bypassando ad esempio l’audit, l’ispezione che invece è decisiva per valutare le modalità di produzione. E la possibile invasione di un mercato, qual è quello della produzione dei dispositivi medici – dove il comparto biomedicale la fa da padrone con un ‘peso’ di circa il 44% – rischia di creare confusione e danni. Ne sono un esempio le bocciature in serie ricevute da aziende tuffatesi nel settore ma prive dei requisiti e delle competenze produttive basilari. Il prezzo di questi tentativi inefficaci è rappresentato purtroppo dalla impossibililità di contenere il contagi sia in ambito sanitario che di tutti gli operatori sul campo. Anche e soprattutto per questo è necessario che chi produce (le aziende), chi acquista (lo Stato) ed i medici – che devono sapere cosa li protegge e cosa no, devono conoscere i requisiti dei prodotti e devono fornire il proprio consenso all’utilizzo – acquisiscano la piena consapevolezza dei percorsi e dei requisiti che rendono un dispositivo sicuro.

Imprese e produzioni si evolvono. Cosa occorre

«A livello mondiale – spiega Monica Tocchi – sta emergendo una ‘nuova industria dell’emergenza’ costituita da numerose realtà che stanno ampliando la propria azione o si stanno convertendo per produrre ciò che è richiesto dal mercato, come appunto le mascherine e i dispositivi di protezione. Un percorso nuovo per produttori di moda o pannolini, che deve essere intrapreso in modo ragionato. Di cosa hanno bisogno queste industrie? Di educazione e di fare i passi giusti, sia per ottenere l’approvazione accelerata avendo condotto tutti i necessari test, sia intraprendere fin da subito il percorso per il marchio CE».

Nulla si può improvvisare

Ciò vale ovviamente anche per le mascherine: «Ne esistono sostanzialmente due tipi. Dispositivi che proteggono gli altri e che devono comunque rispondere a precisi requisiti per accedere alle approvazioni facilitate o al marchio CE. E dispositivi medici che proteggono chi le indossa, parliamo delle FFP1, 2 e 3 con e senza valvola». In tale contesto la ‘nuova industria dell’emergenza’ – i cui prodotti, come detto, sono stati in più di un caso bocciati dalle autorità – necessita di un supporto: «Nulla si può improvvisare». E anche qui esiste un rischio di contraffazione: «Mascherine distribuite da Amazon, così come l’igienizzante per le mani, in alcuni casi si sono rivelati contraffatti». Anche la stampa 3D è un fenomeno emergente, «capace di mettere in campo prodotti che appaiono assolutamente rassicuranti ma in realtà non validati. Ciò nonostante, vengono già forniti ai medici secondo il concetto che ‘sono meglio di nulla’. Io la vedo diversamente – aggiunge la dottoressa Tocchi -. Perché anche nei dispositivi medici ci sono regole che servono a garantire che, ad esempio, queste protezioni necessarie per preservare la salute di medici, infermieri e pazienti vengano vagliati con grande cura anche in termini di sicurezza e qualità».

Priorità anche quando il tempo stringe

In un contesto – definito dal decreto ‘Cura Italia’ – in cui l’approvazione del proprio prodotto, dopo la valutazione straordinaria da parte dell’Inail o dell’Iss, può essere ottenuta in tre giorni, è facile immaginare nuove possibilità e al tempo stesso elevati rischi. Se da un lato il produttore deve comunque mettere a disposizione tutti i documenti tecnici ed i test, in modo analogo al percorso di ottenimento del marchio CE, dall’altro gli organismi che concedono il marchio CE non sono coinvolti direttamente. Con le deroghe dei provvedimenti per covid, c’è un’assoluta rapidità delle procedure, si viene esentati dalla certificazione del sistema di qualità – nessun audit quindi – e si hanno, complessivamente, costi di produzione minori. Per evitare che tale giustificata scorciatoia porti con sé perdite di tempo, di denaro e rischi sanitari, i produttori devono fare di più. Ad esempio devono fornire una documentazione completa per allinearsi a tutti i regolamenti ed agli standard internazionali, utilizzare altri laboratori per effettuare test aggiuntivi, sviluppare e implementare un sistema di gestione della qualità (QMS) ad ulteriore garanzia.

La trasparenza dell’informazione

Doveroso, visti anche i numeri dell’epidemia, è chiedersi se tale processo sia comunque in grado di garantire una protezione sufficiente agli operatori sanitari. «Nonostante gli sforzi – spiega Monica Tocchi -, solo pochi dei prodotti valutati dal Politecnico di Milano, che è stato deputato in Lombardia alla verifica delle mascherine chirurgiche prodotte in emergenza, hanno dimostrato di essere basati su materiali adatti. Le autorità richiederanno prove di conformità, pertanto, soprattutto per la nuova industria, è indubbio che tali prodotti incontreranno ostacoli per l’approvazione. Anche per questo è urgente educare e sostenere medici, istituzioni e l’industria ‘di emergenza’ nel percorso di conformità, così come tutti gli italiani che si dibattono negli interrogativi di quale sia e dove sia la potenzialità della tutela della salute propria e dei loro cari. Gli obiettivi sono ineludibili: risolvere l’emergenza e rimanere protetti. Allo stesso modo è fondamentale richiedere al Governo delle regole precise per etichettare i dispositivi, al fine di impedire la confusione tra quelli regolarmente marcati e quelli prodotti in emergenza». Va ricordato come sia un diritto del cittadino, sia esso sano o malato, operatore sanitaro o appartenente agli enti di protezione civile, avere l’assoluta certezza del prodotto fornito o acquistato.

I consigli per gli operatori sanitari

In conclusione, secondo Monica Tocchi, «la sicurezza degli operatori sanitari che combattono il Covid-19 dipende dai dispositivi di protezione individuale. Quelli prodotti dall’industria ‘di emergenza’ attraverso esenzioni o linee guida speciali, non garantiscono la stessa protezione dei dispositivi marcati CE. Ai medici ed agli infermieri dico: se questi vengono utilizzati nel tuo ospedale, richiedi un controllo con l’aiuto di esperti di certificazione. Il tuo consenso di professionista dovrebbe essere richiesto perché esistono dei ‘rischi sconosciuti’ quando parliamo di prodotti non certificati CE. Per questo una formazione speciale sui dpi durante l’emergenza, seguendo le procedure consigliate in ogni fase, compreso il riutilizzo, è decisiva. In questo contesto la contraffazione rappresenta un ulteriore ostacolo verso la sicurezza e le istituzioni, ma pure le strutture sanitarie e infine gli stessi professionisti, devono vigilare. Perché a rischio c’è la salute di tutti».

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