«Quando Ratzinger divenne papa avevo 5 anni. Ma sono andato ai suoi funerali, ecco perché»

Il racconto del giovane perugino Guglielmo Martinangeli: «Ha combattuto contro la dittatura del relativismo»

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di Guglielmo Martinangeli (22 anni, Perugia)

Ho deciso di recarmi a Roma per il funerale di Benedetto XVI la mattina stessa in cui è morto. Ho condiviso questa esperienza con un mio caro amico beneventano, che ho conosciuto nel collegio universitario di Milano in cui attualmente studio e vivo. Siamo giunti nella capitale il giorno prima: abbiamo fatto un rapido sopralluogo serale in piazza San Pietro e ci siamo infine ritirati per dormire.

La sveglia ha suonato alle 5 in punto del giorno seguente. Noleggiato un motorino, ci siamo spinti fino alla sponda sinistra del Tevere per poi continuare a piedi mirando il Vaticano. Roma era ancora silenziosa e deserta. Verso le 6 siamo arrivati all’inizio di via della Conciliazione dove, in mezzo ad altri fedeli, abbiamo atteso per circa mezz’ora che le forze dell’ordine ci lasciassero raggiungere San Pietro.

Al via libera abbiamo assistito – per non dire partecipato – alla corsa dei fedeli che si stavano riversavando in direzione del colonnato nella speranza di aggiudicarsi un posto più innanzi possibile. Noi siamo riusciti a trovarne uno da cui si vedeva abbastanza bene l’altare. Non era ancora sorto il sole quando ci siamo seduti; attorno a noi c’erano soprattutto suore e sacerdoti provenienti da svariate parti del mondo: Francia, Brasile, Polonia, ecc.

Nella sua omelia papa Francesco non si è soffermato sui tratti della vita e del pontificato del compianto Ratzinger; si è soffermato piuttosto sulle letture. Quando Ratzinger divenne Papa, non avevo ancora compiuto cinque anni. A causa della mia giovane età, non ho potuto vivere con adeguata coscienza spirituale gli anni del suo pontificato; perciò, mi sono recato a Roma non con l’animo di chi partecipa ai funerali di un proprio caro, ma con quello di chi va perché ha riconosciuto in ritardo rispetto al corso degli eventi la grandezza di un uomo che ha saputo guidare la Chiesa con fermezza, secondo le proprie convinzioni, e con misericordia, secondo il proprio temperamento.

A tal riguardo, serbo il ricordo vivido di mia nonna che, davanti al bambino divertito dall’accento tedesco che trapelava dai discorsi di Benedetto XVI, elogiava di quest’ultimo l’essere «profondo» e «studioso», due virtù che ho imparato anch’io ad apprezzare col tempo. Come studente di filosofia, non posso non ripromettermi di cogliere questa esperienza vissuta assieme a un mio compagno di studi come occasione per approfondire le opere del pontefice che è passato alla storia anche per aver combattuto contro la «dittatura del relativismo», brandendo le armi evangeliche dell’amore e della verità.

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