
di Giorgio Armillei
già assessore comunale a Terni
Il vorticoso susseguirsi dei commenti sul voto non ha dimenticato di notare come l’Umbria sia l’unica tra le regioni a forte insediamento elettorale PD ad aver assistito ad una vittoria del No, non certo un bel risultato per il governo e il partito di Perugia. Un altro importante elemento rischia però di passare sotto silenzio, un elemento che potremmo definire di geografia elettorale ma che può utilmente essere preso in prestito per azzardare riflessioni che appartengono piuttosto al genere delle analisi delle dinamiche territoriali.
Anche se i numeri esprimono tendenze o segnalano smottamenti, non vere e proprie smobilitazioni, il voto ci restituisce un Umbria spaccate in due. Ma come dice a proposito della globalizzazione Parag Khanna, mai confondere i confini amministrativi, quelli per capirci congelati nelle cartine politiche della geografia e che piacciono molto al ceto politico, con i confini funzionali ed economici, quelli che il sistema sociale disegna in modo spontaneo e mutevole.
L’Umbria si spacca in due non lungo il confine delle due province né intorno all’asse città / aree interne. L’asse del voto ignora i confini amministrativi come ovviamente anche quelli di ciò che resta dell’organizzazione dei partiti politici. L’Umbria si spacca lungo un asse longitudinale che aggrega da un lato in direzione sud ovest – nord est quella che potremmo chiamare l’Umbria Flaminia e dall’altro in direzione nord ovest l’Umbria di Perugia, con qualche cessione all’altro fronte.
La politics of anger che ha nutrito e impacchettato il NO vince anche in Umbria e lo fa seguendo una traccia territoriale che segnala la connessione tra l’Umbria Flaminia e le aree del Lazio a nord di Roma. E’ l’Umbria che non trova vantaggiosa la collocazione nelle politiche di aggregazione interregionale verticistiche che i governi di Toscana Umbria e Marche disegnano in questi mesi, seguendo interessi di ceto piuttosto che dando eguali chance ai processi di integrazione territoriale dal basso. E’ l’Umbria che gli indicatori economici e di mobilità territoriale danno in connessione con Roma e con il corridoio nord dell’area metropolitana romana. E’ l’Umbria delle aree di crisi industriale che rischiano politiche di intervento straordinario dal sapore spartitorio che scatenano solo comportamenti opportunistici di breve periodo, come altre volte in passato e nonostante gli annunci salvifici di qualche assessore. E’ l’Umbria di cui i documenti di programmazione strategica del governo di Perugia temono la deriva centrifuga verso Roma o le Marche sapendo però opporre a questo rischio solo strategie dirigiste inevitabilmente destinate all’insuccesso.
Se si vuole arrestare il dilagare della politics of anger – e quindi arrestare il declino del PD – bisogna disegnare un’Umbria diversa, aderendo alle dinamiche territoriali e concependo politiche pubbliche a geometria variabile che il governo regionale ha sempre respinto come attentato all’unità della regione. E soprattutto mettendo al centro le città, allargando il campo alle reti tra città, trasformando i governi regionali da strumenti di sola intermediazione politica ad aggregatori di progetti di sviluppo urbano.