Rischi, svernata anticipata, eliminazione dei nidi. Tutto sulle processionarie

Il professore di entomologia Roberto Romani spiega la situazione di questi lepidotteri. E sulla farina di insetti…

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di Gabriele Ripandelli

Torna la primavera, sbucano fuori le colonne di processionarie. L’equazione non è sempre esatta, soprattutto negli ultimi anni con la possibilità di vedere questi insetti nelle pinete già a partire dai primi giorni di marzo. Roberto Romani, docente di entomologia generale e applicata presso il dipartimento di scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’università di Perugia, ci spiega: «Sono animali eterotermi, a sangue freddo. Sono quindi molto sensibili alle temperature. Negli ultimi 3-5 anni abbiamo vissuto inverni meno freddi e primavere anticipate che hanno portato questi insetti uscire prima dallo svernamento. In letteratura si legge anche del mese di aprile, poi chiaramente questo periodo varia passando dal caldo del sud Italia al freddo del nord». Un discorso simile si può fare anche per le api: «Quando si alzano le temperature, le operaie escono dall’alveare e iniziano a bottinare polline e nettare. Quest’anno ne ho viste alcune già alla fine di dicembre». Un ritorno del freddo può creare quindi dei seri problemi: «Questo discorso vale più per le api che per le processionarie perché sono insetti sociali. Con i ritorni di freddo, non escono a raccogliere il cibo e questo può comportare la morte della covata in allevamento».

Il professor Romani

Il ciclo delle processionarie: quando intervenire

I nidi delle processionarie sono quelle ‘palle’ bianche che si formano sui pini, anche a 10-15 metri di altezza. Quando le temperature lo permettono, escono dallo svernamento e completano lo sviluppo larvale alimentandosi degli aghi di pino, per poi letteralmente scendere a terra formando le caratteristiche ‘processioni’ in colonna. Romani suggerisce come intervenire: «In un giardino privato puoi farlo autonomamente, nei luoghi pubblici è compito delle istituzioni pubbliche. La rimozione dei nidi va fatta in inverno quando le larve sono ancora all’interno. L’ideale sarebbe quindi procedere entro il mese di febbraio, anche nella prima metà considerando gli ultimi anni. Bisogna coprirsi bene il corpo e il volto, inclusi gli occhi. Anche se era una pratica molto diffusa, è bene evitare di bruciare i nidi per non disperdere in aria i peli urticanti. Meglio interrare i nidi». Per quanto riguarda la lotta balistica, si fa riferimento a quanto riportato da Umbria Agricoltura: «Si sconsiglia vivamente di fare ricorso alle armi da fuoco, pratica peraltro soggetta all’autorizzazione da parte delle forze di polizia e fonte di pericolo per la diffusione dei peli urticanti presente nei nidi. È possibile ricorrere a questo metodo solo per situazioni altrimenti non risolvibili. Si spara ai nidi con cartucce a pallini per uccidere le larve ed esporre quelle che sopravvivono al freddo invernale. La pratica va limitata al periodo invernale non oltre il 15 febbraio; va chiesta per essa apposita autorizzazione alla questura o al commissariato (o al Comune se i precedenti non sono presenti nel territorio), avendo poi cura di avvisare gli altri Corpi di pubblica sicurezza».

Larve di processionaria

I rischi: occhio a cani e bambini

Il problema non è solo negli insetti che vediamo camminare nei parchi. Romani fa chiarezza: «I peli si trovano anche sulle esuvie, ovvero i residui che le larve lasciano durante l’accrescimento, ma soprattutto nei nidi». Bisogna fare molta attenzione però quando vediamo le processionarie: «Possono provocare danni abbastanza importanti anche a livello respiratorio. Occhio quindi ai cani che, curiosi, potrebbero andare ad annusarle e inalare i peli urticanti, o ai bambini che potrebbero toccarle». Con il lepidottero valgono gli stessi consigli del nido: «Importantissimo è coprirsi bene. Se si bagnano le larve preventivamente, i peli tendono a volare molto di meno, mentre bruciandole si ottiene l’effetto opposto aumentando il rischio».

Ma questa farina di insetti?

Uno degli argomenti del momento è sicuramente la farina di insetti che qualcuno in Italia ha già iniziato a proporre, come il grillo cheesburger di Milano. Si può stare abbastanza tranquilli: «Il regolamento europeo prevede di utilizzare la farina in percentuale. Si può ricavare solo da tre-quattro specie di insetti, che devono essere allevati su substrati particolari e sottoposti a numerosi controlli igienico-sanitari». Il successo sicuramente dipenderà dal mercato e andrà meglio nelle grandi città. Prof, la proverebbe? «Sì, ha un alto contenuto di proteine e grassi. Può apportare valore nutrizionale a certi prodotti ma non sostituirli».

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