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Home » Sangemini, silenzi che non fanno sperare

Sangemini, silenzi che non fanno sperare

di Fabio Toni
30 Giugno 2020
in Dal territorio, Economia, Imprese, Lavoro
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
La Sangemini

La Sangemini

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Silenzi che pesano, quelli che caratterizzano questa fase – non solo questa, in realtà – della vertenza Sangemini. Non da parte dei sindacati che attraverso le segreterie nazionali di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil si sono fatti nuovamente sentire. Quanto piuttosto da parte della proprietà, che non sta risponendo alle sollecitazioni delle sigle per un incontro da fissare quanto prima, e – in Umbria – anche da parte della Regione a cui i lavoratori, attraverso Rsu e sindacati, spalleggiati dai parlamentari del territorio, hanno chiesto la convocazione di un tavolo. Non revoca delle consessioni, si badi, ma che l’istituzione-Regione svolga un ruolo di ‘regìa’ sulla vertenza, che è nazionale ma anche molto locale. Sull’intera vicenda incombe anche la cassa integrazione – d’estate, un unicum – dell’intero gruppo AMI per quattro giorni al mese, sia a luglio che ad agosto, ciascun venerdì. E del piano industriale, atteso in bozza entro giorno, al momento non c’è traccia.

«La proprietà batta un colpo»

Nella nota diffusa martedì, i ‘nazionali’ affermano che «dopo settimane di silenzio da parte della proprietà del gruppo Ami, siamo profondamente preoccupati sugli sviluppi della vertenza in corso. Dopo gli impegni assunti al Mise, a partire dalla necessità di tenere attivo un confronto continuo con le organizzazioni sindacali, l’azienda non ha ancora risposto alle nostre due richieste d’incontro. Se da un lato è importante il confronto nei singoli siti produttivi, per la gestione delle fabbriche, dall’altro non è accettabile questa totale assenza a livello nazionale, a fronte del piano di rilancio: non accetteremo l’idea di essere chiamati solo quando tutte le decisioni saranno state prese».

«A quando il confronto sul piano industriale?»

«La preoccupazione – aggiungono Fai, Flai e Uila – è data anche dal fatto che, perfino in questo periodo di massimo consumo di acqua, il gruppo sta ricorrendo all’attivazione della cassa integrazione. Auspichiamo la ripresa di corrette relazioni industriali a partire dalla calendarizzazione a breve di un incontro, per conoscere quanto sta succedendo a livello di gruppo e soprattutto iniziare un confronto serio sul piano industriale che dovrà segnare il superamento della crisi, quindi del concordato in atto, e dare certezze alle lavoratrici e ai lavoratori. Da subito ci impegniamo a sollecitare anche il tavolo ministeriale, da sempre attivo e disponibile sulla vertenza, per verificare l’evolversi della situazione e costruire le linee guida per il superamento di una fase ormai troppo lunga e complessa».

Le Rsu: «Non paghino per l’ennesima volta i lavoratori»

Comunicato a cui fa seguito la nota delle Rsu degli stabilimenti Gaudianello/Toka e Sangemini/Amerino: «Tutti i lavoratori sono ormai stanchi della continua latitanza dell’azienda che ignora del tutto le richieste delle organizzazioni sindacali nazionali. Un’azienda che imbottiglia acqua – affermano – non si è mai visto che in estate metta in cassa integrazione i lavoratori. Non si può affermare che le mancate vendite sono dovute al post Covid quando non si è imbottigliato già prima della pandemia per mancanza di liquidità economica e quindi di materie prime. Sono stati fatti tutti i passaggi istituzionali con i sindaci di tutti i territori umbri e della Basilicata, con la Regione Umbria e la Regione Basilicata, con gli assessori Merra e Fioroni, per metterli a conoscenza della crisi aziendale. I lavoratori tutti – prosegue la nota – sono preoccupati delle mancate vendite. Ciò avviene perché la rete vendite non è stata pagata o forse perché l’azienda non ha tutto questo interesse a vendere poiché potrebbe attingere ai fondi statali che aiutano le aziende andate in crisi dopo il Covid? Non ci possono continuare a prendere in giro questi manager dell’ultimora che si presentano nei siti produttivi come sceriffi, pensando di intimorire i lavoratori, senza tenere conto che nelle ‘nostre’ aziende ci sono persone monoreddito che, con il proprio lavoro, mantengono le proprie famiglie. Stiamo iniziando a pensare che queste mancate vendite siano studiate a tavolino – affermano le Rsu – per poter presentare un piano a settembre in perdita di volumi e di esuberi di personale. Riteniamo che le regioni interessate a questa crisi debbano tener conto delle persone che ci lavorano in questi stabilimenti. Chiediamo che le Regioni Basilicata e Umbria, nel caso in cui venissero trasferite le concessioni minerarie per l’emungimento delle acque, impongano il mantenimento di tutti i livelli occupazionali, attualmente 93 a Gaudianello e 86 a San Gemini. Chiediamo una volta e per tutte che l’azienda esca allo scoperto presentando un piano industriale, come promesso dallo studio dell’avvocato Pelosi, serio e rispettoso, sperando che a pagarne le spese non siano sempre i lavoratori».

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