di Andrea Liberati
M5S Regione Umbria
A seguito dell’ennesima crisi sismica, pochi giorni fa l’assessore Cecchini ha rilasciato alla stampa alcune dichiarazioni in merito alla situazione delle dighe: “Anche gli invasi della nostra regione non hanno fatto segnalare alcuna anomalia, né quindi ci sono particolari preoccupazioni, fermo restando che sono costantemente monitorati. In particolare, Montedoglio non è nella zona del sisma, né toccata dalle precipitazioni nevose; Valfabbrica è vuota, perché sono in corso degli interventi; Corbara è stata abbassata ma non è comunque coinvolta; dopodiché ci sono gli invasi minori come quello di San Liberato e Arezzo (Spoleto) che sono comunque monitorati, ma non sono emerse criticità”.
Nella sua sintetica esposizione, l’assessore, evocando un non meglio precisato ‘monitoraggio’, ha enumerato sole cinque dighe, ma simili opere sono più del triplo (fonte: Centro Funzionale Regione): in Umbria ci sono intanto 11 grandi dighe, di cui solo alcune sono vuote o semivuote. A queste se ne aggiungono altre, poste al di fuori dei confini regionali, ma ricadenti negli stessi bacini idrografici, ossia Montedoglio, Sovara, Cerventosa a Nord; Salto e Turano a Sud.
Si tratta di strutture la cui eventuale instabilità potrebbe comportare ricadute anche in Umbria. In particolare, qui ci soffermiamo sulle ‘dimenticate’ dighe del Salto e del Turano nel Lazio, peraltro le più vecchie tra quelle citate. A valle di tali gigantesche opere, poste anche in area a elevato/elevatissimo rischio sismico, risiedono centinaia di migliaia di persone, tra la Piana Reatina e la Conca Ternano-Narnese.
Considerato che, poco più di 100 anni or sono, il 13 gennaio 1915, l’area del Fucino, in Abruzzo, fu l’epicentro di un sisma la cui magnitudo-momento fu pari a 7.0 Richter. Si trattò di evento enormemente distruttivo, con ricadute pesantissime in termini di vite umane e la scomparsa di interi centri urbani, a iniziare da Avezzano; e che il sisma ebbe catastrofici effetti non solo in Abruzzo, ma anche in alcuni brani dell’odierno Lazio.
Va valutato che indifferentemente, qualche lustro dopo i catastrofici eventi sismici del Fucino, alla fine degli anni ’30, proprio nelle valli del Salto e del Turano – dunque a ridottissima distanza dall’epicentro del terremoto del 1915 – lo Stato incoraggiò la realizzazione di due rilevantissimi bacini artificiali a servizio dell’industria siderurgica, fortemente energivora, nel quadro del potente polo idroelettrico di Terni; che si tratta di bacini lacuali interconnessi e molto vasti, pari complessivamente a 15,58 chilometri quadrati, per un serbatoio pari a 430 milioni di metri cubi, numeri ben superiori a quelli del Lago di Campotosto, ad esempio; che, come si evince da documenti scientifici nazionali e internazionali, le medesime dighe si trovano in area fortemente sismica (Lago del Salto) o contigua ad area fortemente sismica (Lago del Turano) e comunque esposte a elevato rischio sismico, legato ai movimenti delle faglie dell’Appennino centrale
Chiedo alla giunta regionale di sapere se, al di là di generiche rassicurazioni, siano state effettuate (e da parte di chi) analisi di rischio/vulnerabilità su tali strutture strategiche, ivi incluse non solo quelle del Salto e del Turano, ma anche tutte le altre dighe succitate -complessivamente almeno 16. Se esistano poi stime di danni agli sbarramenti (collassi/cedimenti) e di dissesto idrogeologico derivanti da eventuali sismi di intensità pari al massimo storico; chiedo di sapere se i progetti di allora siano ancora compatibili con la zonazione sismica; quali interventi di eventuale riqualificazione/rafforzamento delle opere di sbarramento siano intervenuti negli ultimi 50 anni; chiedo di conoscere quali misure gli Enti pubblici – Regione Umbria inclusa – intendano comunque concretamente assumere – e quando – al fine di confortare le comunità, considerando che, a valle delle medesime dighe, vivono centinaia di migliaia di abitanti