Torna ancora al centro delle cronache il carcere Capanne di Perugia, al cui interno qualche giorno fa è stata messa in atto una protesta pacifica di alcuni detenuti per il malfunzionamento del sistema di riscaldamento e dell’impianto elettrico. Lunedì mattina nella casa circondariale perugina si è vissuta una giornata ad alta tensione, dopo che la polizia penitenziaria ha sequestrato un telefono cellulare in una cella. «Quel che è avvenuto a Capanne – osserva Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria del sindacato di polizia penitenziaria Sappe – è colpa e conseguenza della scriteriata ed assurda protesta violenta di un detenuto campano che, trovato in possesso del telefono cellulare ben nascosto nella propria cella, ha prima inveito e poi colpito un assistente della polizia penitenziaria che gli contestava l’illegittimo possesso. L’intervento degli altri agenti ha permesso di contenere le violenze dell’uomo. Per quanto accaduto va dapprima la solidarietà ai poliziotti oggetto di aggressione ed un invito che non cada nel vuoto affinché il personale venga dotato di adeguati mezzi necessari per contrastare queste gravi e assurde».
«L’avevamo detto»
Per il segretario generale del Sappe, Donato Capece, «la situazione delle carceri umbre è diventata insostenibile. Diciamo basta: i costanti e continui eventi critici che si verificano ogni giorno nelle carceri ne sono la più evidente dimostrazione. Poliziotti aggrediti, feriti, sequestrati, contusi, insultati e offesi. E quel che denunciamo da tempo si sta clamorosamente confermando ogni giorno: ossia che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della polizia penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. Un plauso è comunque doveroso agli uomini della polizia penitenziaria di Capanne che, nonostante la cronica carenza di personale, non rinunciano al controllo e alla repressione di condotte messe in atto dai detenuti».