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Home » Terni, bioplastiche: «Opportunità vera»

Terni, bioplastiche: «Opportunità vera»

di Simone Francioli
12 Marzo 2019
in Economia, Imprese, Lavoro, Opinioni
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
Sergio Cardinali

Sergio Cardinali

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di Sergio Cardinali
Filctem Cgil nazionale

Siamo abituati a vedere continuamente scorrere ovunque film e immagini sull’inquinamento prodotto dai residui di plastica, causa della morte di specie animali e vegetali e della modifica strutturale delle acque e del terreno. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di porre fine ad un simile scempio, e soprattutto sulla necessità di agire in fretta, salvo poi registrare resistenze culturali e corporative che ritardano i processi strumentalizzando i danni collaterali delle iniziative poste in essere.

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Entrando nel merito, ad oggi, siamo in presenza di una direttiva europea sulla messa al bando dei prodotti plastici monouso da fonte fossile (petrolio e derivati), che deve essere ancora pubblicata, verosimilmente nei prossimi due mesi. Tale direttiva prevede che i paesi membri avranno al massimo due anni per adeguarsi ai dettami della direttiva, ovvero entro la seconda metà del 2021.

Nella legge finanziaria italiana del 2019 viene indicato un percorso al comma 802, che tenta di ritardare un po’ questo percorso, traguardando come data ultima il 2022, ma al tempo stesso la legge prevede un credito di imposta per le aziende che si riconvertono, per produrre prodotti usa e getta a partire da materie prime vegetali. Il mercato italiano delle stoviglie monouso nel nostro paese è di 150 mila tonnellate/anno, circa 1,5 volte il mercato delle buste biodegradabili.

I 24 mesi che abbiamo di fronte e il credito di imposta, insieme ad ulteriori risorse economiche necessarie dedicate alla trasformazione messe a disposizione dal governo, innescherebbero un meccanismo di innovazione ‘governata’ per le imprese di trasformazione italiane, con un grande vantaggio dal punto di vista ambientale ma con l’opportunità di entrare per primi in un mercato europeo che valorizzerebbe l’export tecnologicamente avanzato per le le nostre imprese italiane. Tale operazione avrebbe il merito di vedere raddoppiata la quantità di resina biodegradabile e compostabile necessaria, con il sostanziale raddoppio degli impianti di produzione delle materie prime.

Il vero problema del sistema ad oggi è l’illegalità dilagante e la mancanza di controlli che permettono il proliferare sul mercato, di prodotti ‘taroccati’ che drogano tutto il processo; a questo va aggiunto il danno prodotto sulla raccolta del rifiuto organico, ovvero buste non biodegradabili e compostabili che finiscono nei biodigestori, aumentandone i costi di gestione e il malfunzionamento. Quello dei controlli e delle sanzioni resta un tema ineludibile che va affrontato e serve anche ad alimentare una cultura diversa rispetto al problema.

Elemento questo che riguarda anche l’Umbria e il territorio ternano, dove una legislazione molto avanzata regionale che obbliga già dal 2015 per le feste popolari l’uso di prodotti biodegradabili e compostabili, che insieme alla legge nazionale del 2016 degli ‘acquisti verdi’ rappresenta un humus fondamentale per la crescita di un’economia collegata a queste produzioni. Purtroppo anche in Umbria gli scarsi controlli sulla legalità del sistema non hanno accelerato un processo che la normativa si prefiggeva.

Ad esempio non abbiamo visto la nascita di impianti di stampaggio e termoformatura che trasformerebbero il prodotto, in questo caso della Novamont, utilizzando tutte le risorse, compresa l’area di crisi complessa e il cluster della chimica verde. Lo sviluppo di questa filiera all’interno del polo chimico finirebbe per coinvolgere inevitabilmente anche la Treofan di Jindal, che potrebbe integrare le attuali specialità con film bio, rilanciando così la scommessa sul futuro. Insomma un’opportunità per il territorio umbro di creare ricchezza e lavoro, come lo fu il propilene negli anni ’60. Una seconda opportunità per uscire dalla situazione di difficoltà in cui la crisi industriale degli ultimi dieci anni e la declaratoria attuale ci sta conducendo.

Per innescare tutto ciò serve spingere verso un patto tra governo, rappresentanti delle imprese e dei lavoratori, verso una programmazione di industria sostenibile, che avrebbe il merito di rafforzare il ruolo di esportazione di prodotti e tecnologia, dando un grande contributo economico ed anche occupazionale al nostro paese.

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