«Non lo so quanto mi resta da vivere. Purtroppo le mie condizioni di salute sono quelle che sono. Ciò che cerco è solo l’amore di mio figlio. Non sono mai stato un violento né ho mai fatto del male a nessuno. A differenza di chi lo ha fatto a me. Ma finché potrò e ne avrò la forza, chiederò giustizia. E che vengano rispettati i miei diritti».
«Non sono un mostro» M.B., il ternano di 58 anni denunciato dall’ex compagna, incinta, che lo accusa di averla picchiata e colpita all’addome con un casco da moto, non ci sta a passare per ‘il mostro’ e replica a quella che definisce «un’infamia, un’invenzione». Tanto che martedì mattina ha dato vita ad una protesta di fronte alla questura, un gesto figlio di una disperazione comunque lucida. E che parte da lontano.
Le difficoltà La sua vita, anche sentimentale – una malattia, grave, con la quale sta combattendo da tempo, ne sta fiaccando la resistenza – è stata un continuo saliscendi. A Terni in tanti lo conoscono per aver gestito locali, anche importanti. Ma ciò che lo ha segnato nel profondo, fino a minarne la salute, sono stati i guai e le difficoltà «che ho sempre affrontato a testa alta – ci tiene a dire – uscendone ogni volta pulito».
Accusa pesante Come l’accusa infamante di maltrattamenti e abusi sessuali sulla prima figlia, messa nero su bianco dalla compagna di allora, e che nel 2007 lo ha portato in carcere per un mese e mezzo. Piantonato in ospedale – era finito in terapia intensiva – e poi arrestato una volta dimesso. «Non sono mai stato condannato per quella vicenda – racconta -. L’accusa di violenza è caduta e i maltrattamenti sono finiti in prescrizione. Segno che elementi non ce n’erano, come non ce ne sono oggi».
Vita complicata Il tempo passa, l’uomo si sposa nel 2006 con un’altra donna che dopo pochi mesi lo rende padre per una seconda volta. Il rapporto finisce nel 2011 e anche in questo caso la separazione è segnata da tensioni, anche se alla fine il tribunale dei minori gli dà la possibilità di vedere il piccolo per tre fine settimana al mese e tre settimane, non consecutive, durante le vacanze estive.
Il racconto Il resto è storia di oggi: «Sabato (il giorno della denuncia, ndr) – racconta – sono andato a prendere mio figlio a casa del compagno della madre, visto che si trovava lì. Ho suonato il clacson due volte, ma niente. Poi sono sceso e ho suonato il campanello ma sono stato aggredito dalla mia ex e dal suo compagno e sono finito al pronto soccorso. Uscito dall’ospedale, ho visto mio figlio a bordo dell’auto del patrigno, aperta. Indossava solo un paio di pantaloncini e mi ha detto di avere caldo. Gli ho chiesto se voleva venire a Miranda con me, per stare più fresco. Mi ha risposto di sì, così l’ho portato via. Prima siamo passati a casa, a Terni, e lì dopo pochi minuti sono arrivate le pattuglie della polizia. In questura ci sono andato insieme a mio figlio, a piedi. Mi hanno preso impronte e tutto il resto e poi me lo hanno portato via con una scusa. Alla fine mi sono ritrovato denunciato, senza il piccolo, e ho pure letto gli articoli che mi dipingono, pur senza riportare il nome, come un violento, un animale».
La difesa «Il fatto è che nulla di tutto ciò è vero. Nessuno ha chiesto la mia versione dei fatti e chi mi conosce, sa che non potrei fare del male a una mosca. La mia rabbia nasce da qui, dal fatto di sentirmi accusato di cose che la mia morale non potrebbe mai accettare. Cosa chiedo? Di poter vedere mio figlio, come mi spetta, e che ci sia giustizia. Perché le denunce sporte da me in passato, anche verso organi di polizia e per vicende gravi, non hanno mai avuto seguito. Quelle nei miei confronti, invece, vanno avanti. Questo accanimento non lo merito e penso che, per molti versi, sia tutt’altro che casuale».