Umbria, 800 mila mascherine acquistate dalla Prociv

Il fabbisogno del servizio sanitario regionale garantito per almeno un mese, difficoltà nel reperimento di maschere e camici. Il rebus prezzi

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di Federica Liberotti

La ‘pressione’ delle scorse settimane – quando, nel pieno dell’esplosione dell’emergenza coronavirus, la domanda era tanta e l’offerta pochissima – sembra essersi allentata, a contribuire una fornitura di 750 mila mascherine chirurgiche certificate che dovrebbe permettere di soddisfare le richieste degli addetti ai lavori, in primis il personale sanitario della regione, per almeno uno, massimo due mesi. Un carico arrivato dalla Cina e destinato alla Protezione civile dell’Umbria – addetta tra le varie cose all’acquisizione e alla distribuzione dei dispositivi -, che dunque può operare in un quadro decisamente diverso rispetto a quello che si prospettava appena una decina di giorni fa.

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Per ora tutto ‘Made in China’

Accanto alla richiesta delle mascherine chirurgiche, infatti, è andata scemando – riferiscono dal Centro regionale Prociv di Foligno – anche quella dei dispositivi Ffp2, più tecnici, a disposizione della Protezione civile per circa 50 mila pezzi. Rimangono difficoltà, in quanto manca l’offerta a riguardo, nell’approvvigionamento di camici e maschere, anche se su questo fronte, come avvenuto in altre realtà, si sta valutando una soluzione alternativa. Quella cioè della sanificazione dei dispositivi monouso, permettendone così il riutilizzo continuo. Il libero passaggio nelle dogane delle mascherine ha invece accelerato notevolmente le forniture, in attesa che anche le aziende italiane – in Umbria ce ne è una che ha ripreso la produzione abbandonata anni fa – si adeguino alle nuove necessità in termini autorizzativi, prima ancora che numerici.

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Prezzi gonfiati, ma c’è anche chi dona

Ciò che di certo non si ferma sono i prezzi, influenzati (in parte) anche dal crescente costo del trasporto dei dispositivi, passato dalla nave all’aereo, vista l’esigenza della consegna in tempi rapidi: una mascherina chirurgica prima dell’emergenza poteva essere immessa sul mercato italiano ad un costo compreso tra l’uno e gli otto centesimi, oggi la forchetta è tra i 50 e gli 80 centesimi. Più che raddoppiate le cifre per le Ffp2: se prima venivano commercializzate in Italia a meno di un euro, ora lo sono a 2-2,5 euro. Alla Protezione civile arrivano ogni giorno circa una quarantina di proposte di vendita di dispositivi da parte di aziende, ma per essere eventualmente accettate la condizione posta dal dipartimento è il pagamento alla consegna, dunque non anticipato, così da avere la garanzia che la merce ricevuta corrisponda, soprattutto in termini di qualità, a quella ordinata, visto che in via prioritaria è destinata al servizio sanitario e in subordine, in caso di necessità, anche a forze dell’ordine e addetti al pubblico nei servizi essenziali. Ma non mancano anche le donazioni, come una fornitura di 2 mila pezzi arrivata dalla Cina e riversata ai Coc.

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In tanti si propongono

Tra coloro che si erano messi in moto per cercare di far arrivare celermente in Umbria un cospicuo numero di mascherine anche i giovani imprenditori della startup ternana Hesalis, attiva nella filiera della canapa. «Tramite un imprenditore cinese del nostro settore, che ha riconvertito l’azienda nell’emergenza – spiega l’amministratore unico di Hesalis, Emilio Petrucci -, il 21 marzo eravamo riusciti a trovare una fornitura di 600 mila mascherine, tra chirurgiche, Ffp2 e Ffp3, oltre a 30 mila tute isolanti e altrettanti test del sangue. Sarebbero potute arrivare in Italia in pochi giorni, così abbiamo contattato le Protezione civile regionale, poi visto che l’azienda richiedeva il pagamento anticipato, tramite una cordata di imprenditori siamo anche riusciti a trovare i 600 mila euro richiesti. Ma non se ne è fatto più nulla, perché non abbiamo ricevuto notizie dalla Prociv. Non vogliamo fare polemica in questa fase delicata, ma magari questa esperienza può insegnarci a rendere le procedure più veloci e meno burocratiche. Quella merce poteva nel frattempo essere spedita altrove e le risorse bloccate dalle imprese spese in altro modo. Noi abbiamo cercato di fare la nostra parte responsabilmente».

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