«Io sono per la teoria che Leonardo abbia disegnato il paesaggio della valle di Terni e di Papigno, dobbiamo interrogarci su quella che è la funzione di questo disegno, ma le evidenze scientifiche dimostrano che quello è il territorio che ha disegnato»: a dirlo Fabio Marcelli, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Perugia. Una ulteriore conferma alle teorie di Luca Tomìo, che i lettori di umbriaOn conoscono bene, essendo state anticipate proprio da queste pagine.
LEONARDO IN UMBRIA: LO ‘SCOOP’ DI UMBRIAON
Il libro
Si chiama ‘Leonardo da Vinci – Le radici umbre del genio’: non è un lavoro scientifico ma il racconto di una scoperta, scritto sotto forma di intervista a chi la scoperta l’ha fatta, lo storico dell’arte Luca Tomìo, da parte di chi quella scoperta l’ha raccontata per primo, Marco Torricelli, che proprio su questa testata svelava per la prima volta, ormai due anni fa, che qualcosa stava accadendo attorno a quel disegno su carta del 1473, ‘Paesaggio con fiume’, fino ad allora da tutti interpretato come uno spaccato del panorama toscano. E invece no. Grazie prima ad una felice intuizione (arrivata dal figlio di Tomìo, che vive a Terni e spesso andava in gita proprio alle Marmore) e poi a conferme scientifiche, con sopralluoghi e mappature dall’alto con i droni, si è potuto appurare che Leonardo avesse dipinto la famosa cascata umbra e il borgo di Papigno. Addirittura, studiando la prospettiva, è stato individuato il masso da cui il genio tratteggiò i primi schizzi. Sono in corso delle ricostruzioni 3D del borgo di Papigno, presso l’università Roma Tre, che suffragherebbero ulteriormente la tesi. Due contributi arricchiscono il volume: quello del giudice Federico Bona Galvagno, che ha analizzato e certificato il tutto sulla base di «indizi precisi, univoci e concordanti», realizzando la prefazione, e quello di Massimiliano ‘MaMo’ Donnari, che ha realizzato un De Vinci moderno e stilizzato per l’immagine di copertina. Alla presentazione, nella Sala Vaccara, sono intervenuti inoltre Maria Caterina Federici, docente di Sociologia all’università di Perugia, e Gianluca Galli della Morlacchi Editore, in veste di coordinatore.
LA PRESENTAZIONE A PERUGIA – IL VIDEO
La chiusura di Terni, l’apertura di Perugia
Dopo una prima presentazione a Lugnano in Teverina, il libro arriva a Perugia, che è un po’ la sua seconda patria, visto che l’editore è perugino e visto che nel capoluogo ha ricevuto una accoglienza migliore che a Terni. Proprio su questo aspetto si sono soffermati gli autori, evidenziando come la città che pure sarebbe quella più direttamente interessata non abbia ancora saputo riconoscere appieno la portata innovativa della scoperta e le sue possibili ricadute culturali, di immagine, persino economiche sul territorio. Un atteggiamento di chiusura totale, di granitica certezza, da parte di chi ha bollato da subito, e senza alcuna competenza in materia, la scoperta come poco attendibile. «Mi hanno accusato di non volermi confrontare – ha confessato Tomìo – ma io mi confronto con addetti ai lavori, miei pari, con cui posso discutere, magari anche dissentendo su alcuni punti, ma con cognizione di causa». «Quello che è mancato – ha ammesso a malincuore Torricelli – è stato il beneficio del dubbio, da cui si poteva partire per una analisi più approfondita, arrivando magari a nuove scoperte perché è così che progredisce il mondo». Cosa che non è accaduta, almeno non ancora, a Terni. E invece è accaduta a Perugia.
LA STORIA DI UNA SCOPERTA – ARCHIVIO
Il paragone con Milano
«Finalmente mi sento a casa – ha detto Tomìo sempre in riferimento alla diversità di approccio al tema fra Terni e Perugia – e a casa significa in un posto dove getti un seme in un terreno fertile e questo seme prende vita. Terni invece non ha ancora superato il doppio trauma dell’industrializzazione e della fine dell’industrializzazione, che le ha fatto dimenticare come un tempo fosse una città turistica e a grande attrazione culturale». Poi fa il paragone con la città di Milano, dove presto il libro sarà presentato in virtù di un passaggio sulla Monnalisa e sul suo paesaggio, che non sarebbe toscano bensì lombardo. «Quando i milanesi hanno avuto sentore di questa cosa, mi sono stati dietro per un mese, un giornalista del Corriere della Sera è andato al Louvre e poi mi ha intervistato e dopo l’uscita dell’articolo la città metropolitana ha indetto un convegno sul tema, senza contestare il dato scientifico, ma mettendolo sul piatto e dando la possibilità agli addetti ai lavori di discuterne e confrontarsi, cosa che a Terni non è avvenuta; speriamo avvenga presto».