Asili nido e privati: «Bando alle ideologie»

Terni, un consigliere comunale interviene sulla querelle

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di Michele Pennoni
Consigliere comunale del Pd a Terni

La discussione e la produzione di un atto in seconda commissione consiliare sul tema della gestione dei ‘nidi’ per la prima infanzia si sta incanalando erroneamente su binari di tipo ideologico, di scontro tra visioni contrapposte pro o contro i servizi privati all’infanzia.

I punti di vista finora espressi risultano innanzitutto distanti da un atto che in realtà non si sbilancia in particolari scelte, mentre le interpretazioni che ne vengono date portano a ricette tutte spostate verso estreme soluzioni.

Mentre l’atto dice ben poco se non di “potenziare i servizi comunali […] prendere in considerazione l’eventualità di stipulare convenzioni con strutture private” senza far nessun riferimento, e quindi prescindendo, dalla contingenza delle norme che regolano già da anni il sistema.

Il nodo ‘convenzioni’ con le strutture private non può trovare fondamenta perché il rapporto con i servizi socio-educativi per la prima infanzia, tra cui anche quelli privati, è già regolamentato, e finanziato, dalla legge Regionale n.30/2005 (e successive modificazioni) che non disciplina soltanto i nidi comunali ma anche quelli privati poiché interviene sul funzionamento di tutti i sistemi di servizi all’infanzia delegando ai comuni la concessione dell’autorizzazione al funzionamento.

Si spaccia per rivoluzionaria novità, una questione già esistente e sovvenzionata e il compito già assolto dal Comune, è quello di autorizzare le strutture private che rispondano ai parametri di funzionamento fissati dalla regione e di controllare e garantire che questi vengano rispettati e mantenuti.

Secondo la legge i contributi vengono assegnati in base al numero delle bambine e dei bambini iscritti e frequentanti con priorità alle strutture pubbliche. Di fatto quello che è riportato nell’atto della commissione che quindi interverrebbe per dare un indirizzo già normato in una legge regionale dal 2005.

Più che mai la questione si pone per una condizione di precarietà che si profila all’orizzonte nella continuità dei servizi comunali erogati che caratterizzandosi per la loro qualità devono essere preservati e conservati per garantire all’utenza una qualità certificata.

Qualità certificata dalla quale il privato che intende lavorare in tale settore non può derogare utilizzando strutture e materiali adeguati e professionalità del personale educativo qualificato certificato da specifici titoli di studio.

Diverso il discorso riguardante la scuola dell’infanzia, dove l’offerta cittadina tra statale e comunale è pienamente in grado di accogliere tutte le domande presentate e a cui già si affiancano scuole paritarie in tutto e per tutto equiparabili al pubblico.

Non è quindi esatto di parlare di carenze del servizio pubblico, quanto, come è naturale, di alcuni casi di numero estremamente ridotto, per i quali certamente il problema si pone va affrontato.

A tale fine però la misura più opportuna non è quella di stipulare ulteriori convenzioni con le strutture quanto di sostenere direttamente le famiglie mettendole in condizione di poter scegliere liberamente secondo i propri orientamenti.

Così, il pubblico, anche per quei casi in cui non può intervenire direttamente rimane il riferimento e l’interlocutore principale per le famiglie.

Il servizio deve privilegiare la persona, le famiglie in questo caso, prima delle strutture.

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