Ponte Felcino, l’Arci e «l’accordo verbale»

Il caso dell’ostello: «Quando si agisce in emergenza, si deroga alla normativa» spiega Franco Calzini, il presidente dell’Arci che assicura massima trasparenza

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L.P.

A Ponte Felcino il clima è ancora teso. A più di un mese di distanza dalla petizione, firmata da oltre 400 cittadini della piccola frazione alla periferia di Perugia, con cui si chiede al sindaco di restituire alla città l’ostello Villa Giardino ora adibito a centro di prima accoglienza per rifugiati, è in programma per venerdì un’assemblea pubblica organizzata dalla Lega Nord su immigrazione, sicurezza e degrado urbano.

L’assemblea della Lega «Vista la delicata situazione e le problematiche che si sono sviluppate sul territorio, la Lega Nord Perugia scende fra la gente per approfondire, valutare e sviluppare un percorso risolutivo a tali criticità». Ma i firmatari della petizione non ci stanno e prendono le distanze dall’iniziativa. «Ci chiediamo – dicono in una nota – dove sia stata la Lega Nord in tutti questi mesi di attività del comitato Ponte Felcino e perché non sia intervenuta prima ascoltando i cittadini e portando le loro istanze nelle istituzioni».Un’assemblea organizzata dopo così tanto tempo suona più come una strumentalizzazione piuttosto che come una presa di posizione di un partito, la Lega, «che è in consiglio comunale con la maggioranza e ha modo di muoversi e far luce sulla convenzione che il comune ha, per esempio, con le associazioni che gestiscono l’ostello del paese ora adibito a centro d’accoglienza».

La struttura L’ostello, di proprietà del comune ma gestito dall’Aig, associazione italiana ostelli della gioventù, negli ultimi tempi è stato adibito a centro di prima accoglienza da Arci Solidarietà. I migranti arrivano qui dopo aver fatto tappa in uno dei centri d’accoglienza al sud Italia, sono soprattutto nigeriani o provenienti dalla Guinea e dal Mali. Il comitato di Ponte Felcino, però, non ci sta ad essere tacciato di razzismo. Il problema, dicono, è il quartiere già difficile di per sé e con un’alta percentuale di immigrati. Poi, si chiedono, come mai una struttura del comune, ristrutturata con fondi pubblici, sia stata riservata all’accoglienza quando, agli atti, negli uffici comunali non risulta nessun cambio di destinazione della struttura «ma solo un accordo verbale tra Arci e Aig per la gestione dei rifugiati».

Le polemiche, in questi mesi, sono state tante. Sulla questione dell’accordo verbale Franco Calzini, presidente del comitato territoriale dell’Arci di Perugia, spiega che «in situazioni di emergenza, come può essere un’alluvione o un terremoto, ma anche l’emergenza sbarchi sulle coste italiane, ci trova ad agire in deroga alla normativa. Non lo stabiliamo noi, lo stabilisce la normativa, il Governo». In particolare Calzini spiega che l’Arci, capofila di un raggruppamento di associazioni temporanee di scopo, gestisce il servizio deciso dal ministero dell’Interno che coordina l’emergenza e dalle prefetture che, sul territorio, attuano la gestione del flusso dei migranti.

‘Modello Umbria’ Il presidente di Arci chiarisce che «il modello applicato in Umbria si basa su piccole strutture diffuse, il più possibile, su tutta la provincia, con appartamenti o case singole per piccoli gruppi di 5, 6 persone al massimo. L’ostello di Ponte Felcino non è una struttura ordinaria, ma un centro di prima accoglienza e smistamento dove vengono esperite le prime pratiche burocratiche. E’ per questo che, in alcuni momenti dell’anno la struttura è vuota, mentre in altri ci sono più persone, soprattutto quando si determinano più arrivi nella stessa settimana. Con l’ostello c’è un contratto tra privati, in base agli arrivi, così come quando affittiamo appartamenti».

Gestione in emergenza La struttura, il cui utilizzo è stato definito nei vari tavoli sulla sicurezza convocati dalla Prefettura con i Comuni e la Regione, non è quindi una struttura di accoglienza ordinaria, per le quali il bando prevede la capienza massima di 40 persone. Spesso, però, la struttura è più affollata ma «questo dipende dagli arrivi, lo smistamento può avvenire nel giro di qualche ora come di qualche giorno o settimana. E’ un progetto nato nel pieno di un’emergenza, ecco perché ci sono bandi semestrali da parte della Prefettura. Si spera sempre che il fenomeno si possa stabilizzare». Ma se l’emergenza diventa la normalità, ci sarebbe stato comunque il tempo di regolamentare la destinazione d’uso di una struttura? «Questo, però, non spetta a noi – prosegue Calzini – noi siamo i gestori, non i decisori, questo è un problema che riguarda le istituzioni».

Verifiche e controlli In ogni caso, Calzini sottolinea come il modello organizzativo su Ponte Felcino sia stato condiviso con tutti i livelli istituzionali coinvolti, dal Ministero al Comune e come tutte le attività siano sottoposte a controllo ad ogni livello e, finora, è sempre stato riscontrato il buon operato del raggruppamento di onlus che gestisce il servizio. «Stiamo comunque cercando di migliorare il servizio di accoglienza, di perfezionarlo. Dopo la extraordinarietà dei massicci arrivi della scorsa stagione, a partire dalla prossima verranno utilizzate altre strutture».

Chi ci guadagna? A stuzzicare i cittadini, poi, è la questione relativa ai guadagni. «Come Mafia capitale ci insegna – dicevano già un mese fa dal Comitato – bisogna tenere gli occhi aperti quando si parla di accoglienza». I soldi, dice Calzini, «vengono spesi come previsto dal bando, con l’erogazione di servizi obbligatori per queste persone, con i kit, l’abbigliamento, i pasti, le medicine e tutto quanto previsto dalla convenzione. Poi la nostra gestione è trasparente, non abbiamo carichi pendenti e i nostri bilanci sono depositati e pubblici, chiunque può vederli. Un conto è l’Arci che, sul territorio, si occupa di azioni di volontariato. Un altro, invece, è l’erogazione di un servizio come in questo caso. Per svolgere un servizio, si assumono persone, si fanno contratti coi privati, c’è un rapporto lavorativo normato come tale e come tale paghiamo le tasse. E’ una cosa diversa, non in contrapposizione con la nostra missione. Non sarebbe possibile gestire in Umbria, per anni, alcune migliaia di persone su base volontaria».

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