Terni, il Cantamaggio delle occasioni perse

Ci sono artisti ed intellettuali che restano fuori della festa, snobbando ed essendo snobbati, ma privandola di idee, contributi, esperienze – Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

I commercianti di via Primo Maggio a Terni avanzano una protesta che ha il sapore dell’indignazione. “Ma come! – sbottano – noi siamo via Primo Maggio e i carri del Cantamaggio qui da noi non ci passano? Questa via, allora, chiamatela via del Tramonto”. 

Se si vuole c’è un dato positivo: se questi commercianti ci tengono così tanto ad essere parte viva e coinvolta nel Cantamaggio, significa che l’attaccamento ad una festa popolare che fluttua tra pochi alti e moltissimi bassi persiste. E questo è un segno di potenziale vitalità. Magari, ad essere pignoli, ci sarebbe da sottolineare che la via è dedicata alla festa del Lavoro, più che al Cantamaggio, ma di questi tempi anche al lavoro, in generale, si addice la sensazione di “tramonto”.

Con gli anni il Cantamaggio ternano ha perso parecchio del suo appeal. Nacque come l’esternazione caciarona dello stare insieme, in allegria: musica, “magnate”, bevute. Festa rurale cui ci si aggrappava con la nostalgia per un passato – “Terni nostru ‘ndo’ si jitu?”- scalzato dall’industrializzazione selvaggia in atto dalla seconda metà del XIX secolo. Della ruralità il Cantamaggio aveva due tratti essenziali: l’inno alla natura che rinasce e si riproduce, con un aggancio alle radici pagane e goderecce di Terni, e nello stesso tempo la solidarietà che spesso è innescata dalla povertà, la fatica, il lavoro duro.

Le grandi fabbriche pensano paternalisticamente di metterci una pezza inserendosi nel Cantamaggio col peso della loro disponibilità economica. Dalla frasca su un carretto trainato da un somaro s’era passati ai carri allegorici, diventati simbolo dei vari rioni cittadini. Ma accanto al carro di “llà ‘n Castelli” e “Spiazzu dell’Ormu”arrivarono quelli dell’Acciaieria, della Bosco, della Centurini e via dicendo.

La festa però restava. La sfilata dei carri per le vie del centro, le bisbocce e l’allegria di una notte e del giorno successivo. La competizione a costruire il carro più bello, a scrivere la canzone più accattivante rigorosamente determinava il coinvolgimento delle risorse intellettuali ed artistiche cittadine. Quelle che c’erano, ovviamente; quello che “cacciava casa”, ma comunque il massimo.

Oggi non è più così. Ci sono artisti ed intellettuali ternani, nuove energie che restano al di fuori della festa della loro città, snobbando ed essendo snobbati, ma in definitiva privandola di idee, contributi, esperienze.

Eppure l’ultimo picco verso l’alto il diagramma del Cantamaggio lo registrò quando scese in campo con coraggio e competenza un artista ternano come Marcello Camorani: bastò lui, da solo, a dare una spinta decisiva. Poi però, come troppe volte accade in questa città, in troppi si sono messi su un piedistallo ed invece di imitarlo e magari cercare di superarlo, l’hanno lasciato solo.

“In questa Terni che dell’individualismo pare stia facendo una religione – ha scritto il presidente dell’Ente Cantamaggio, Omero Ferranti – in questa Terni dove ognuno zappa il suo orticello, che spazio può esserci per una festa come la nostra se deprivata di quello spirito collettivo che l’ha caratterizzata fin dalle prime comitive?”. Eh, appunto.

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