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Home » ‘La valle dei veleni’: «Tante imprecisioni»

‘La valle dei veleni’: «Tante imprecisioni»

di Fabio Toni
25 Gennaio 2019
in Ambiente e salute, Ast, In evidenza
Tempo di lettura: 5 minuti di lettura
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Ha fatto decisamente molto ‘rumore’ il servizio intitolato ‘La valle dei veleni’ andato in onda lo scorso 18 gennaio all’interno del magazine ‘Tv7’ di RaiUno. Uno speciale che ha affrontato alcune delle principali criticità ambientali legate all’attività siderurgica con immagini, opinioni e testimonianze relative alla discarica Ast di vocabolo Valle, agli allevamenti della zona e al complesso delle vicende che negli ultimi anni hanno messo al centro l’acciaieria e il suo ‘peso ambientale’ sul territorio. A parlare, stavolta, è Acciai Speciali Terni che, contattata da umbriaOn, replica punto su punto ai temi trattati nello speciale di Tv7.

«Andati oltre i doveri di legge»

«La vicinanza alla città – spiegano dall’azienda – ha sempre condizionato la storia dell’acciaieria di Terni e ha contribuito a stimolare l’adozione di criteri di autoregolamentazione ambientale, spesso in anticipo ed in modo più restrittivo rispetto a quanto richiesto dalle normative vigenti. Gli investimenti in campo ambientale non hanno interessato solo le attività volte a garantire l’adempimento alle prescrizioni presenti nell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) e quelle formulate dal ministero dell’ambiente, ma anche interventi migliorativi in grado di garantire una maggior protezione delle matrici ambientali (aria, acqua, suolo)».

«Tante imprecisioni»

Netto il giudizio di Ast sul servizio ‘La valle dei veleni’: «Una descrizione di pura fantasia su quelli che sarebbero gli effetti di questo sito sulla comunità locale, piena di imprecisioni. Un primo passaggio – spiega l’azienda – riguarda le tempistiche degli interventi di bonifica sul parco scorie di Ast che non sono agli inizi, perché la zona B della discarica è stata del tutto bonificata attraverso l’intervento previsto dalla legge chiamato Misp (messa in sicurezza permanente), ovvero una bonifica approvata dal ministero dell’ambiente, eseguita dall’azienda e certificata dagli enti locali».

Diossine: «Ast non c’entra nulla»

La prima intervista all’interno dello speciale è quella di un cittadino che ripercorre la storia della sua proprietà adiacente al parco scorie e delle galline abbattute a causa della presenza nelle uova di agenti inquinanti dannosi per la salute: «La modalità in cui è raccontata la vicenda lascia intendere che la responsabilità di questo evento sia di Ast, mentre la relazione causa-effetto tra la presenza della discarica e quella delle diossine non regge, perché i rifiuti che Ast porta in quel sito non contengono diossine. Senza contare che basta guardare il sito di Arpa Umbria per avere prova che la misura delle diossine nell’aria a Terni risulta inferiore al limite di rilevabilità. D’altra parte sul tema era stata la stessa Usl a precisare che non si potesse indicare l’acciaieria come causa del problema. È un dato di fatto – spiega Acciai Speciali Terni – che sul territorio ternano non operi solo il sito siderurgico, ma nel tempo siano stati attivi altri impianti chimici e inceneritori: l’area Terni-Papigno infatti è un Sito di interesse nazionale (Sin), ovvero una di quelle aree che solo a fine anni ’90 lo Stato ha individuato come interessate da un potenziale inquinamento di particolare rilievo, in rapporto alle caratteristiche degli inquinanti e della loro pericolosità, all’estensione, all’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali. Sono gli anni in cui lo Stato inizia a prevedere interventi volti alla bonifica e al ripristino ambientale di queste zone, da realizzare attraverso un apposito programma di finanziamenti pubblici. Tra questi siti nel settembre 2001 rientra anche il Sin Terni-Papigno, istituito con un decreto ministeriale che individuava l’area umbra come intervento di bonifica di interesse nazionale».

Gli interventi e le contaminazioni in falda

Quando si parla di interventi a tutela dell’ambiente, che vanno anche oltre le semplici prescrizioni di legge, è bene però capire cosa si vada ad attuare nel concreto: «Ben 117 anni dopo la sua nascita l’acciaieria ha iniziato il lungo e complicato cammino verso una nuova politica di attenzione verso l’ambiente in tema di caratterizzazione di suolo e sottosuolo al passo con i tempi. La fabbrica – spiega Ast – ha inizialmente concentrato le proprie attività sui carotaggi dei propri terreni e quindi è passata a completare, in accordo con il ministero dell’Ambiente, l’Arpa e le altre autorità competenti, la caratterizzazione delle acque di falda. È iniziato un percorso accurato di analisi e monitoraggi svolti dall’azienda, in una rapporto di estrema trasparenza con gli enti competenti che, alla fine del 2018, hanno riscontrato alcune contaminazioni in falda su alcuni piezometri. Come previsto in questi casi, l’azienda ha comunicato a tutte le autorità competenti i risultati delle analisi e ha aumentato il numero di piezometri  – oggi sono 33 nel sito e 25 in discarica – per monitorare la falda e procedere alla realizzazione di un importante studio idrogeologico. Il risultato dei monitoraggi ha permesso di stabilire che la contaminazione presente è riconducibile ad una contaminazione ‘storica’ e quindi non determinata da fenomeni in corso».

Galleria Tescino: «Perché un tunnel proprio lì sotto?»

Il secondo intervistato dell’inchiesta di TV7 è Pierluigi Rainone, dell’associazione Vas – Verdi, Ambiente e Società: «Dichiara una grave inesattezza – afferma Ast – perché i mezzi che tutti i giorni confluiscono in discarica sono circa 70 e non 200 come sostenuto. La strada percorsa dai camion inoltre appare bianca per la presenza di calce che costituisce il 60% delle scorie di acciaieria. Proprio nell’ambito delle attività realizzate nell’area della discarica, va evidenziata l’installazione di un secondo dispositivo ‘lava ruote’ per i mezzi in uscita dalle zone in esercizio della discarica, insieme alla realizzazione di un nuovo sistema di dosaggio per l’acidificazione del percolato, la sistemazione e l’asfaltatura delle strade interne a servizio della discarica e altri interventi di sistemazione idraulica tra le due zone ‘A’ e ‘B’ della discarica. È poi utile sottolineare – prosegue l’azienda di viale Brin – che la parte della discarica di proprietà di Ast si trova su terreni preventivamente impermeabilizzati, come da autorizzazioni ricevute nel tempo a seconda delle leggi correnti. L’acciaieria ha provveduto a mettere in sicurezza anche le aree utilizzate prima che entrassero in vigore le norme suddette, mentre è la vecchia discarica comunale rsu ad essere ancora carente da questo punto di vista. Perché allora dieci anni fa è stato deciso di aprire un tunnel per le auto proprio sotto una zona così a rischio?».

Il parco sulla discarica: «Progetto credibile, tanti esempi nel mondo»

Il dilatarsi dei tempi relativi alla realizzazione di un parco sulla ‘montagna di scorie’ di vocabolo Valle, viene strenuamente difesa da Ast: «C’è da chiedersi perché un progetto di rinaturalizzazione di una discarica in Italia non debba godere della minima credibilità, mentre esempi da ogni altra parte del mondo dimostrano che non solo è possibile, ma può davvero anche molto utile per l’ambiente. Partiamo dall’Hiriya Recycling Park, uno dei posti più esclusivi di Tel Aviv, dove i bambini giocano nel verde mentre i genitori si godono una delle viste panoramiche più belle della città, fino a qualche anno fa riservata ai gabbiani in cerca di cibo tra i rifiuti. Qui infatti dal 1952 al 1999 si sono accumulati tutti i rifiuti della città israeliana: quasi 50 anni, durante i quali si è formata una vera e propria montagna che ha raggiunto i 450 mila metri quadrati e un’altezza di 60 metri. Non così sbalorditivo, se si considera che il sito ha ricevuto 3 mila tonnellate di rifiuti al giorno fino al 2001, quando è iniziato il processo di conversione della montagna da discarica a parco. Così è nato quello che oggi è il più grande polmone verde dell’area metropolitana, l’Ariel Sharon Park, un modello di cambiamento ambientale per tutto il mondo».

Altri esempi

«Sempre nel 2001 – prosegue Ast sul tema del parco naturale dove ora ci sono cumuli di scorie – anche New York ha deciso di chiudere la sua Freshkills Landfill. Attiva dal 1948 nel sobborgo newyorkese di Staten Island, riconosciuta come la più grande al mondo (890 ettari, circa tre volte Central Park), la discarica della Grande Mela nel corso degli anni è arrivata a raccogliere quasi 29 mila tonnellate di rifiuti al giorno. Il cumulo più alto ha superato i 200 piedi, come la Statua della Libertà, addirittura visibile dallo spazio. Eppure oggi anche Freshkills Landfill si sta trasformando in un modello di eco-parco attraverso un progetto di durata trentennale che dovrebbe terminare nel 2036. Lo stesso è accaduto in Spagna con il parco Garraf, in Germania con il parco paesaggistico dell’Emscher nel bacino della Rhur e ancora in California con il Byxbee Park che si estende di fronte alla baia di San Francisco. Oggi anche l’Italia potrebbe comparire tra questi esempi positivi grazie al progetto di Andreas Kipar a Terni».

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