Terni, manca l’amore tra Comune e cittadini

Piccoli esempi pratici che spiegano le motivazioni di una disaffezione crescente

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di Walter Patalocco

Aiole piene di cartacce, bottiglie, una miriade di rifiuti minuti; strade impercorribili per le buche. Sono elementi, è già stato detto, che allontanano i cittadini dalla città. Non la sentono amica, ‘inglobante’. Non la amano e non si sentono sollecitati a rispettarla.

Non ci sono i soldi per fare certi interventi, ha spiegato il sindaco. Però, se il problema lo si è capito, sarà pure necessario fare qualcosa, magari che costi poco ma che dia un segnale. Almeno individuare alcuni aspetti della vita quotidiana a Terni che contribuiscano ad avvicinare i cittadini alle istituzioni.

Perché di una città non ci si sente parte organica se non la si sente amica. Almeno in luoghi simbolo, in figure che rappresentano le istituzioni. Non è il solito discorso sui politici che non servono a niente e via ‘populisteggiando’.
Accade, ad esempio, che un cittadino si trovi a fare i conti con un problemuccio. C’è un vicoletto, al centro di Terni, dove in questi giorni di caldo record, alcuni condizionatori sputano getti di aria bollente dopo aver rinfrescato alcuni appartamenti, qualche negozio, qualche ufficio.

Ora, il vicolo – con quella concentrazione di fuoco – diventa una strada di Beirut il giorno di Ferragosto a mezzogiorno: temperatura a cinquanta gradi, aria talmente infuocata che prende alla gola. Quella stessa aria entrerebbe nelle finestre di chi il condizionatore non ce l’ha se si azzardasse ad aprirle appena un po’. Tant’è. Non è questo il fatto di cui si vuole parlare.

Però ad uno viene spontaneo chiedersi: ma non ci sarà un regolamento per certe cose? A chi chiedere se non a chi le regole le stabilisce o comunque le conosce? L’Istituzione, quindi il Comune, che tra tante si continua a considerare la più vicina al cittadino. Ti avvii. Per strada incontri un vigile urbano che occupato in beghe di traffico e soste selvagge.

Lotta improba, ma trova comunque il tempo e la gentilezza di dare un’indicazione: «Provi al Comando, c’è un settore che s’occupa dell’edilizia, probabilmente sa…». Grazie. Al comando, quindi. Fuori della porta c’è una vigilessa. Ha i gradi, di maresciallo a ‘tre binari’, sta al cellulare, ma trova il momento da dedicarti: sopracciglia aggrottate: «Lei. Dove va?». Così, così e così, volevo… «No, no. Aspetti…». E risponde ad una chiamata. Il collega che sta con lei capisce la situazione e… «Provi all’ufficio edilizia, loro danno i permessi per i condizionatori, quindi sanno le regole». Grazie, Basta girare intorno al palazzo.

All’ingresso c’è un cartello con la disposizione degli uffici. Un invito a leggerlo, ma dal gabbiotto di vetro arriva ad alta voce l’invito di una signora tutta imbellettata, seduta dietro una scrivania: «Che deve fare», esclama senza chiedere. «Dovrei andare all’ufficio edilizia». «Non si può salire. È chiuso. Oggi è chiuso». La replica non è ammessa.

Ma come! Il palazzo del Comune sarà o no un luogo aperto ai cittadini? Uno sale, se l’ufficio è chiuso ci sarà un cartello. Lo leggi e torni indietro, ma almeno saprai quando e se domani o dopodomani l’ufficio sarà aperto. «Come non posso salire?». «Non può e non si avvii verso l’ascensore sennò chiamo i vigili urbani!».

Ecco, caro sindaco: quanto costa un sorriso? O almeno un sopracciglio disteso? O la rinuncia al preconcetto che il cittadino è nemico? E quanto costa una ventina di grammi di educazione? Già privilegiando questo tipo di ‘spesa’ si contribuirebbe non poco ad avvicinare i cittadini alla città.

PS – In quanto ai condizionatori, il funzionario – finalmente uno gentile – ha spiegato che andrebbero sui tetti, ma se non deturpano la facciata principale di un palazzo possono state anche più in basso. L’aria che espellono starà pure a 70 gradi, ma non è nociva. Il regolamento in vigore spiega, infatti, che i condizionatori mica sono caldaie che fanno fumo! Ah, già…

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