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Home » Ancora l’ombra delle mafie nel Perugino: due imprenditori e un consulente del lavoro in carcere

Ancora l’ombra delle mafie nel Perugino: due imprenditori e un consulente del lavoro in carcere

di Simone Francioli
5 Ottobre 2022
in Apertura 5, Economia
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
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Trasferimento fraudolento di valori, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, autoriciclaggio, ricettazione, indebita percezione di erogazioni pubbliche, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ la lunga lista di reati contestati, a vario titolo, dalla procura di Perugia a dieci persone tra imprenditori e professionisti che operano nell’intero territorio provinciale, alcune ritenute riconducibili ad associazioni mafiose, raggiunte da un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali e reali emessa dal gip perugino.

Arresti e sequestri

In particolare, in carcere sono finiti un imprenditore di origine calabrese e un consulente del lavoro, mentre sono stati disposti i domiciliari per un altro imprenditore edile, anche lui calabrese. Per gli altri sette coinvolti è invece scattato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Disposti anche sequestri preventivi finalizzati alla confisca del capitale sociale e del compendio aziendale di sei imprese, di immobili (fra cui un intero complesso resideziale di recente custruzione), di autovetture e disponibilità finanziarie, per un valore complessivo di oltre un milione di euro.

L’indagine

Nello specilico – viene spiegato in una nota della procura guidata da Raffaele Cantone – le complesse indagini, avviate nel 2020 e condotte dai finanzieri del gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata di Perugia, hanno consentito di delineare «un articolato quadro indiziario in relazione a plurimi casi di intestazioni fittizie di quote socielarie ed immobili, di omissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e di reimpiego dei connessi proventi illeciti, riconducibili a soggetti già gravati da precedenti penali o di polizia per associazione mafiosa o destinatari di misure di prevenzione». Sono, inoltre, stati appurati casi di indebita percezione di contributi pubblici erogati per fronteggiare l’emergenza Covid ed episodi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, attraverso l’instaurazione di fittizi rapporti di lavoro a favore di cittadini extracomunitari, con l’obiettivo di ottenere la procedura di regolarizzazione di colf, badanti e braccianti agricoli, prevista dal decreto Rilancio e dal decreto Flussi.

L’ombra delle infiltrazioni mafiose

L’attività trae origine dagli approfondimenti di natura patrimoniale, avviati nei confronti di un imprenditore edile calabrese da anni residente in provincia di Perugia, già sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e attualmente imputato in altro procedimento, quale affiliato alla cosca della ‘ndrangheta Farao-Marincola, che avrebbe attribuito fittiziamente a propri congiunti la titolarità di una nuova azienda, per eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali e agevolare il riciclaggio di proventi illeciti. Dai successivi sviluppi è emerso, inoltre, che tanto la nuova impresa quanto la preeistente operavano come ‘serbatoi’ di manodopera illecitamente somministrata a terzi, attraverso la stipula di contratti di appalto ritenuti di natura fraudolenta.

Le irregolarità

Come accertato, infatti, anche dai furzionari dei competenti uffici dell’Inps e dell’Ispettorato teritoriale del lavoro, il personale formalmente assunto dai soggetti appaltatori era, in realtà, stabilmente alle dipendenze del committente (una storica società perugina attiva nel settore della fabbricazione di prodolti in calcestruzzo) che dettava le direttive, rielaborava i piani di lavoro e ne definiva le concrete modalità di esccuzione, esercitando poleri assoluti di controllo, esautorando, di fatto, gli appaltatori da ogni autonomia organizzativa, riducendosi, quest’ultima, alle funzioni di mera gestion amministrativa dei rapporti di lavoro, senza assunzione del rischio d’impresa. Questi elementi sono stati considerati tutti indici rivelatori della non genuinità dei contratti di appalto e della esternalizzazione di fasi o cicli del processo produttivo. Di consegurnza, le fatture relative ai contratti sono state ritenute giuridicamente inesistenti.

Il ruolo del consulente del lavoro e gli altri coinvolti

Figura cruciale è risultata essere quella del consulente del lavoro, anche lui di origine calabrese che, oltre a mettere a disposizione le proprie competenze professionali per la realizzazione del sistema fraudolento, si sarebbe adoperato a favore di numerosi pregiudicati per consentire loro il raggiungimento di indebiti benefici, attraverso la perpetrazione di vari reati. Fra i beneficiari delle illecite prestazioni professionali, raggiunti dal provvedimento cautelare, figurano un soggetto già condannato in via definitiva per associazione mafiosa in quanto considerato affiliato al clan camoristico dei Casalesi, un imprenditore edile calabrese attualmente imputato per reati aggravati dal metodo mafioso, un soggetto pugliese, responsabile anche della ricettazione di orologi contraffatti, e un pregiudicato di etnia rom di Bastia Umbra il quale, dietro compenso, avrebbe favorito l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di numerosi soggetti extracomunitari, procurando loro fittizi rapporti di lavoro. In questo ulteriore filone, risultano coinvolti anche una cittadina cinese e quattro soggetti residenti a Perugia e nei comuni limitrofi nonché una persona originaria dello Sri Lanka, residente a Gualdo Cattaneo.

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