Aborto farmacologico a domicilio abrogato: lo scontro si accende

Umbria – Il senatore Pillon esulta dopo i passi compiuti dalla giunta Tesei. Le associazioni del mondo femminile insorgono: «Passo indietro»

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«La giunta regionale umbra presieduta da Donatella Tesei ha oggi approvato una delibera, proposta dall’ass. Luca Coletto, con cui viene definitivamente abrogata la vecchia Dgr Marini relativa al cosiddetto ‘aborto farmacologico a domicilio’. Da oggi gli interventi dovranno essere effettuati, come previsto dalla legge, in regime di ricovero ospedaliero, evitando che la donna sia di fatto lasciata completamente sola anche davanti a eventuali rischi, come emorragie, infezioni o altre gravi complicanze».

Soddisfatto

Così aveva esultato il senatore Simone Pillon, commissario della Lega di Perugia, nella giornata di giovedì: «Il tutto con buona pace della sinistra che, brava solo a parole a difendere i diritti delle donne, si è opposta fino alla fine, preferendo anteporre le ideologie alle reali esigenze della salute femminile. Resta sullo sfondo la speranza che, a livello nazionale, sia presto approvata una legge per garantire a tutte le donne con gravidanze difficili di poter scegliere la vita contando sul sostegno umano ed economico delle istituzioni».

«Si rende difficile la vita delle donne»

Tempo poche ore e la reazione, social, del mondo della politica e delle associazioni che non la vedono come il senatore Pillon, non si è fatta attendere. Così Udi nazionale e di Perugia, Nudm Perugia e Gubbio, ‘La città delle donne – Aps’ Gubbio, Rav Perugia, Democratiche Umbre, Cav di Orvieto – L’albero di Antonia, Il filo di Eloisa Orvieto, Terni Donne e VitadiDonna: «Si può cercare di raggiungere il paradiso in vario modo. Una modalità, secondo i leghisti della Regione Umbria, è quello di rendere difficile la vita delle donne, la loro libertà, la loro autodeterminazione. Così la maggioranza di destra del consiglio regionale umbro ha abrogato la delibera regionale faticosamente ottenuta nel dicembre 2018, dopo 8 anni di insistenza e di lotte anche contro la recalcitrante giunta Marini. Si dava così indicazione agli ospedali umbri di organizzare con day hospital il servizio per la interruzione volontaria della gravidanza (IVG) farmacologica, dando la possibilità alle donne che decidevano di interrompere la gravidanza, di poter scegliere il metodo meno invasivo per loro, che meglio si adatta alle loro esigenze e farlo in modo accessibile. Invece in Umbria non sarà più così. Ricoveriamole per 3 giorni, rendiamo sempre più difficile il percorso per ottenere l’aborto farmacologico, impediamo che si possa anche spendere meno ed evitare in epoca Covid di stare in ospedale a lungo. Questo è stato ottenuto dalla giunta Tesei con plauso di Pillon ed amici».

In Italia e in Umbria è difficile

«In Francia – proseguono le assiciazioni – l’IVG farmacologica viene scelta dal 66% delle donne, in Svezia dal 95%, in Irlanda e Portogallo anche con alte e crescenti percentuali. In Italia (ultimi dati 2018 della sorveglianza IVG del Ministero Salute) solo dal 18%, in Umbria dal 5%. Perché? Come mai siamo così diverse? Perché una IVG medica per una donna, da noi è una corsa ad ostacoli: contro il tempo, la disinformazione e la mancanza di servizi. Si era con difficoltà arrivati nel 2019 ad avere almeno un ospedale nella provincia di Perugia (Pantalla e poi, dopo Covid, Umbertide) e due nella provincia di Terni (Orvieto e Narni) che mettessero in atto la procedura di IVG farmacologica. Nei due ospedali più grandi, dedicati anche all’insegnamento universitario non è mai stato organizzato. A Terni si offrono alle donne solo 3 IVG chirurgiche ogni settimana e 5 a Perugia, significa quindi che vi sono lunghi tempi di attesa per gli interventi chirurgici (in media 3 settimane), che con la IVG farmacologica, senza sala operatoria e anestesia, si ridurrebbero molto. Questo faticoso piccolo avanzamento che ci faceva essere meno arretrati anche solo dal punto di vista scientifico, da ora viene messo in discussione. I dati su IVG medica riportati dalla relazione del Ministro, mostrano che nelle regioni in cui vi è obbligo di ricovero, nel 95% dei casi le donne firmano ed escono su loro responsabilità».

«Intervenga il Governo»

«La Sigo (Società italiana ginecologi ed ostetrici) ha affermato l’8 aprile 2020 che si dichiara favorevole a una maggiore diffusione dell’aborto farmacologico, a tutela della salute e dei diritti delle donne, che rischiano di essere negati a causa dell’emergenza sanitaria in corso. Un impiego maggiormente estensivo dell’aborto farmacologico, finora relegato ad un ruolo marginale, permetterebbe di decongestionare gli ospedali, alleggerire l’impegno degli anestesisti e l’occupazione delle sale operatorie. Affinché si realizzi una piena applicazione della procedura farmacologica che può essere utilizzata anche in caso di diagnosi di aborto interno. Sottolinea la necessità di rivedere alcuni aspetti delle procedure vigenti, dichiarandosi favorevole a: spostare il limite del trattamento da 7 a 9 settimane; eliminare la raccomandazione del ricovero in regime ordinario dal momento della somministrazione del mifepristone a momento dell’espulsione; introdurre anche il regime ambulatoriale che prevede un unico passaggio nell’ambulatorio ospedaliero o in consultorio, con l’assunzione del mifepristone, e la somministrazione a domicilio delle prostaglandine, procedura già in uso nella maggior parte dei paesi europei. In Umbria si vuole andare nella direzione opposta e sostenere che questo è a favore della salute femminile. È tempo che qui in Umbria, come nel resto d’Italia, le donne si facciano sentire, che la contraccezione torni gratuita, che pretendano che i consultori tornino in grado di funzionare adeguatamente, che il personale e le strutture siano adeguati e formate per rispondere alle esigenze di chi vi abita. Chiediamo che il ministero della salute ascolti le società scientifiche e le loro proposte – concludono le firmatarie del documento -, modificando le linee guida molto arretrate del 2010 (governo Berlusconi) che ci rendono fanalino di coda in Europa per i diritti sessuali e riproduttivi, rendendo così la deliberazione umbra, un tentativo di retrocessione, del tutto vano».

La Cgil: «Regione si accanisce contro le donne»

A stretto giro sul tema interviene anche la Cgil: «La Regione Umbria sceglie di accanirsi contro le donne, la loro libertà ed autodeterminazione e lo fa con un provvedimento fortemente ideologico che riporta l’Umbria indietro di anni, allontanandola dal resto d’Europa. In pratica – le parole di Barbara Mischianti e Fabrizio Fratini – si nega alle donne la possibilità di scegliere il metodo meno invasivo per loro, imponendo un ricovero per 3 giorni e rendendo sempre più difficile il percorso per ottenere l’aborto farmacologico, il tutto con un evidente aggravio di costi per il sistema sanitario e per giunta andando ad intasare ulteriormente gli ospedali in epoca di Coronavirus. Riteniamo la scelta della Regione assolutamente sbagliata e penalizzante e per questo la Cgil è pronta a mobilitarsi al fianco delle associazioni delle donne».

Donne Articolo Uno: «Ferma opposizione»

Così il forum nazionale donne di Articolo Uno: «La scelta della giunta regionale umbra di revocare la delibera che consentiva l’aborto farmacologico in day hospital è sbagliata e retriva. Durante la crisi sanitaria la Società italiana di ginecologia ed ostetricia si è dichiarata favorevole ad un impiego maggiormente estensivo dell’aborto farmacologico a tutela della salute e dei diritti delle donne, che in Europa è garantito in maniera ordinaria e con percentuali molto superiori a quelle italiane. La giunta umbra – afferma il forum donne di Articolo Uno – si muove in direzione opposta e contraria a quella della tutela dei diritti e della salute delle donne. Noi siamo al fianco delle associazioni e dei movimenti che sostengono la necessità di garantire un accesso più semplice e sicuro all’aborto farmacologico e ci opporremo ad ogni tentativo di ritorno indietro».

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