«Sono uno Sherpa. Ora riconquistiamo Perugia e andiamo in serie A»

Il nuovo tecnico Baldini ha raccontato il suo gioco e la sua filosofia. Il consiglio al presidente: «Bisogna avere le palle di dire ora ti faccio vedere che sono»

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di G.R.

Un lungo prologo da parte del presidente Massimiliano Santopadre per accogliere in conferenza Silvio Baldini e spiegare la decisione del Perugia che vuole tornare a sognare in grande.

«Buongiorno e ben arrivati. Non sono certo io che lo devo presentare dato il curriculum importante che ha alle spalle. Ci tengo anche a ringraziare il mister Fabrizio Castori per quanto fatto. Si volta pagina. Quando si arriva a fare certe scelte sicuramente non è piacevole. C’è comunque un fallimento da parte del club nella scelta iniziale. Il tempo ci dirà se le motivazioni erano giuste  sbagliate. Molte volte le dirigenze devono anche seguire i propri istinti o non sarebbero onesti. Decisione condivisa con il direttore Giannitti. Lo abbiamo scelto per un motivo ben chiaro. SI parla sempre degli uomini e su questo non ho dubbi. Silvio ha sempre dimostrato che davanti all’allenatore c’è sempre stato l’uomo con i suoi pregi e i suoi difetti. E’ stato preso anche per il suo modo di allenare e interpretare il calcio. Io in primis avevo bisogno di entusiasmo per vivere e rivivere il vero motivo che mi muove in questa avventura. Nel calcio si vive soprattutto di sogni, non soltanto di traguardi. Avevo perso di vista il mio sogno che è quello di primeggiare e arrivare un giorno in Serie A. Poter creare infrastrutture nuove e uno stadio nuovo. Fare tutto quello che serve a far diventare la società tra le più importanti in Italia. Non faccio promesse, vivo i sogni. Amare questa società non significa amare Santopadre ma si può aiutare a vivere un sogno comune. Quando si raggiungono i sogni e gli obiettivi le componenti sono tantissime. Ci sta il presidente il direttore sportivo, il magazzinieri, le persone che lavorano in sede, i giornalisti, i tifosi che riempiono lo stadio portando passione e amore. Ho vissuto tanto tempo in silenzio e forse era giusto. Oggi sono venuto a dire una cosa: io ci credo ancora e vi chiedo di vivere insieme il sogno. Non chiedo di essere simpatico a tutti. Devo sentirmi il presidente di una squadra forte. Non voglio più fare lo sfigato. Non voglio più sentirmi il più debole ed essere quello che non sono. Prima della partita con il Monza tutti vivevamo il sogno ma nessuno era convinto di crederci. Abbiamo battuto il Monza di Berlusconi e siamo andati ai play off malgrado siamo usciti e sapete tutti come. Questo perché lo stadio era meraviglioso »

D: Quando hai deciso di cambiare?

«Mi ha fatto molto male perdere il derby. E’ vero che ne ho persi ma ne ho anche vinti tanti. Nella vita come nel calcio le difficoltà stanno sempre dietro l’angolo e non accetto non aver visto una squadra senza reazione».

D: Sullo stadio nuovo

«Quando le cose sono concrete le saprete anche da me. Stiamo lavorando».

Parla Baldini

Un Silvio Baldini tra il tecnico e lo psicologo, a tratti anche un po’ spirituale. Così si presenta in sala stampa il nuovo tecnico del Perugia che punta forte sul conoscere l’anima dei giocatori, ridare entusiasmo all’ambiente e credere nella promozione diretta.

D: che relazione c’è tra Pitagora e il suo calcio?

«Il campo da gioco è un rettangolo, una una figura geometrica che ha una superficie e delle lunghezze fondamentali per sviluppare il gioco. Devi sapere qual è la distanza ideale per creare le situazioni per andare a fare gol »

D: Quali sono state le sue prime impressioni arrivato a Perugia?

«Perugia ha una grande tradizione e le strutture sono ottime. La cosa più bella che ho riscontrato però è questo sogno del presidente. Ho subito accettato pur prendendo un ingaggio che è la metà di quello che avrei preso a Palermo perché cerco persone come il presidente che non si sentono soddisfatte fino a quando non realizzano. Ci siamo chiariti e abbiamo bisogno di sinergie lavorando ognuno nel proprio campo. Non dobbiamo farci prendere dall’ansia del momento. Dobbiamo cercare la Serie A: questo mi ha chiesto Santopadre e voglio sentirne la possibilità. Il Perugia ha una squadra forte e se lo stadio è carico non può perdere. Io ci metto la faccia. Poi se non ci riesco chi vuole criticare e fischiare lo faccia. Io darò tutto. Mi sono sentito con Castori per scambiarci delle parole d’augurio. Quando c’è un cambio i giocatori non possono essere insensibili perché sanno che avevano un uomo vero che aveva bisogno di stima e affetto. Non cerco la causa del cambio tecnico, cambio pagina. Il Perugia ha un fascino e il presidente vuole sognare. Finché ci danno la possibilità di lottare e di creare lo facciamo. Prometto che lotteremo, non che raggiungeremo l’obiettivo perché non sono un mago con una sfera di cristallo».

D: Come fa a rimanere sempre così giovane? Cosa le ha insegnato l’esperienza?

«Mi ci sento nella testa e davanti allo specchio posso dimostrare molti anni di meno. Mi interessa che il mio cuore batta per qualcosa che amo come la famiglia, gli amici e questo lavoro. Mi sento ancora come uno di trent’anni.

D: Perché si era allontanato dal calcio e come mai è tornato?

«Il mondo del calcio è pieno di ipocrisia perché ti mettono in discussione per un risultato non vedendo il percorso. Non mi sentivo più bene. Sono tornato perché ho deciso di accettare la Carrarese che aveva bisogno di una mano. Il marinaio ha bisogno del mare, l’alpinista della montagna, il surfista delle onde e io del campo. »

D: Secondo lei è cambiato molto in questi dieci anni di B?

«Cambiano le persone ma le idee sono sempre quelle. Per fare l’allenatore serve essere motivati, in gamba e lucidi».

D: Che leva utilizzerà con i giocatori per risollevarli?

«Gli sherpa non hanno scarponi chiodati, bacchette e altre attrezzature ma arrivano in cima alla montagna perché ne conoscono l’anima. Io devo dare ai miei giocatori la conoscenza di chi sono. Se capiscono che la loro anima è più importante dei muscoli solleveranno il doppio del carico».

D: Modulo

«Un allenatore non può avere un modulo ma deve conoscere gli interpreti. Il direttore mi ha detto che questa squadra era costruita per fare il 3-5-2 o il 3-4-1-2. Perché non devo ascoltare il consiglio di chi l’ha creata? Nella mia vita i moduli li ho fatti tutti. Non può fissarti con un’idea per passare dalle montagne dove sono nato a San Siro».

D: Più facile ripopolare il Curi o arrivare in Serie A?

«Se noi portiamo trentamila persone allo stadio vuol dire che siamo in Serie A. I calciatori con un’atmosfera del genere corrono tre volte di più. A Palermo eravamo sotto 2-0 contro l’Entella a dieci minuti dalla fine. I tifosi ci hanno incitato e non fischiato e in cinque minuti abbiamo pareggiato. Se abbiamo una difficoltà in campo il pubblico ci aiuta a risolverlo. Se arriviamo a riempire il Curi vuol dire che abbiamo fatto il percorso per arrivare in Serie A. Se avremo sempre cinquemila, settemila, ottomila persone vuol dire che ce la mettiamo tutta ma non abbiamo raggiunto il nostro traguardo. Sia chiaro però: fallisce solo chi si arrende».

D: Quanto conta l’aspetto mentale?

«La nostra società propone dei modelli che sono sempre fallimentari. Per i loro figli vogliono tutti calciatori e veline. Non ti dicono più di cercare nello studio di capire quello che sei e quello che vuoi fare. Devi scegliere chi essere, non esserlo perché non hai altre alternative. Ci vuole l’anima.  Quando ti alleni è come quando il monaco va a pregare per cercare la parte spirituale. Finché campo lotterò con questa idea. In Sicilia ho imparato una cosa: se pensi alla morte muori due volte. Quando ci pensi e quando muori»

D: Ora serve voltare pagina e ripartire

«Unica cosa che posso dirti è questa. La persona più importante della società è il presidente non perché deve tirare i soldi ma perché deve avere voglia di lottare e credere nei sogni. La deve trasmettere al direttore che poi la trasmetterà a me e alla squadra. E’ una persona sola e a volte è dura, lo capisco. Ma gli dico che se non molla noi andiamo in Serie A. I giocatori vanno bene, le strutture pure. Dobbiamo avere il coraggio di credere soprattutto quando il destino ci metterà alla prova. Quando non molli le cose poi svoltano: nelle ultime tredici partite della stagione della promozione con il Palermo ne abbiamo vinte tredici e prima eravamo stati criticati per tre pareggi. Noi siamo in mano all’entusiasmo di questo giovanotto. Se non si deprime andiamo in Serie A. Bisogna avere le palle di dire ‘ora ti faccio vedere io chi è Santopadre’».

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