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Home » ‘Pane di Terni’ in crisi: «Puntiamo all’Igp»

‘Pane di Terni’ in crisi: «Puntiamo all’Igp»

di Simone Francioli
26 Luglio 2019
in Apertura 5, Economia
Tempo di lettura: 3 minuti di lettura
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di F.L.

Settantuno forni artigiani e piccolo-industriali sparsi in un territorio che, oltre al capoluogo, comprende altri 21 comuni della provincia, estendendosi da Ferentillo a Montecchio, da Otricoli ad Avigliano Umbro. Tre gli ingredienti indispensabili (grano tenero, lievito naturale e acqua), anche se è quello che manca – il sale – a rendere il prodotto conosciuto in tutta Italia: parliamo del ‘pane di Terni’, conosciuto anche come il ‘pane sciapo’, una tradizione culinaria che si tramanda da secoli, ma che oggi, pur cercando di mantenere la propria peculiarità, deve fare i conti con i tempi che cambiano, oltre che con una concorrenza sempre più accanita.

Momento complicato

Era il 2016 quando si cercò di dare nuovo impulso al settore grazie al ‘Bread fest’, organizzato per tre anni di fila in centro città, un’iniziativa che non ha però più avuto seguito. Anzi, da allora le cose sembrano peggiorate: oggi il comparto «sopravvive con molta difficoltà» spiega Lucio Belli, presidente della categoria dei panificatori, associata a Confartigianato Imprese Terni. «Le vendite sono diminuite, diversi panifici stanno chiudendo. Paghiamo la concorrenza dei prezzi della grande distribuzione, con nuove aperture continue, ma sono anche cambiate le abitudini dei ternani: la popolazione invecchia, gli stranieri, sempre più numerosi, preferiscono il pane salato e intanto dobbiamo competere anche con la pizza ad 1 euro al pezzo. A noi non rimane che difenderci con la qualità dei prodotti e la professionalità, anche se non sempre la gente capisce e apprezza. E così a fine mese non è semplice arrivare, solo le realtà più grandi ci riescono».

L’ultima ‘spiaggia’: la certificazione

Eppure i sacrifici (a partire dagli orari) sono tanti, sia per i titolari dei forni – per la maggior parte a carattere familiare – che per i dipendenti. Tanto che, per coloro che riescono a portare avanti l’attività, non è semplice trovare chi sia disposto a ‘mettere le mani in pasta’, letteralmente. «Su 10 miei dipendenti – spiega Belli – 5 sono di origine indiana, lavorano con me da circa 15 anni. Sono persone impagabili, ma questa tradizione artigianale e familiare rischia di interrompersi e andare persa». Per questo, secondo il presidente Belli sarebbe il caso di tornare a parlare della certificazione del ‘pane di Terni’, sulla scorta di quanto sta avvenendo con il panpepato. Archiviata l’ipotesi della richiesta di Denominazione di origine protetta – troppo complessa in quanto tutte le fasi della lavorazione, compresa la coltivazione delle materie prime, dovrebbero essere ubicate all’interno del territorio -, secondo Belli potrebbero essere maturi i tempi per parlare di Igp. «Qualsiasi iniziativa possa aiutare a riscoprire questo prodotto e a risollevare il settore credo che debba essere intrapresa. Ne parlerò con Confartigianato e con gli altri associati».

Si vende solo in provincia

Tra le note negative c’è da sottolineare anche che il mercato romano, dove il ‘pane sciapo’ è sbarcato decenni fa trovando un fiorente sbocco, stando agli addetti ai lavori si è molto assottigliato, quasi a scomparire, e così la commercializzazione è oggi concentrata esclusivamente nella provincia di Terni. «La mia attività una quindicina di anni fa vendeva 30 quintali di pane al giorno nella Capitale, 70 nel fine settimana – continua Belli -. Ma ormai né io ne i miei colleghi portiamo più il prodotto a Roma, né nelle province laziali limitrofi o nel perugino». La diminuzione del numero delle attività viene confermata dalle statistiche, visto che nel 2016 le imprese del settore erano 77 (-8% in tre anni), con 190 tonnellate di pane di produzione.

Come si prepara

Il ‘pane di Terni’ viene preparato artigianalmente a partire dalla cosiddetta biga, l’impasto preparato in precedenza, che, in genere viene lasciato il giorno prima per il giorno dopo e, comunque, non può essere fatto meno di tre ore prima dell’impasto vero e proprio, perché possa avere la giusta maturazione. La biga viene, dunque, rimpastata con altra farina e acqua e messa a lievitare da 1 a 3 ore in appositi teli. Il pane così ottenuto, in formato di filetto, file o filoni, viene messo a cuocere, preferibilmente in forni a legna, per almeno mezz’ora a una temperatura tra 210° e 230°. Inconfondibile con la sua forma ellissoidale allungata, il pane di Terni presenta una crosta dorata e croccante, compatta in superficie, che nasconde un interno morbido, dalla mollica porosa e uniforme, di colore bianco avorio e dall’intenso profumo di farina che ben si sposa con le sapide pietanze della cucina umbra.

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