Con questo protocollo, il calcio resta fermo

Se non ci saranno modifiche, dovremo aspettare il prossimo autunno per rivedere una partita di calcio in Umbria. Solo la A può provarci (ma con difficoltà). Perugia, Ternana e Gubbio al palo

Condividi questo articolo su

di Pietro Cuccaro

Alla fine è successo proprio quello che si temeva: che anziché rendere più snelle le procedure, il protocollo sulle attività sportive di gruppo varato in queste ore le ha complicate e, agendo secondo il principio di precauzione, ha di fatto reso impossibile la ripresa del calcio: basterà infatti un solo caso di positività per bloccare almeno una squadra (se il campionato non è ancora cominciato) fino a 4 o 5 visto che (con campionato ricominciato) si dovrà fermare anche tutti i calciatori avversari venuti a contatto con il positivo nelle precedenti due settimane. Una spada di Damocle, insomma.

SPECIALE CORONAVIRUS

Confronto aperto

Sono in corso serrate trattative fra Figc, Lega di Serie A, il comitato scientifico e il governo per fare in modo di rendere più morbide le misure in certi passaggi. Nella giornata di mercoledì il ministro Spadafora sarà in audizione alle camere e si spera possa fornire qualche chiarimento sulla nuova versione del protocollo preparata in fretta e furia dalla Figc dopo i rilievi del comitato. Anche se, alla fin fine, la sensazione è che nessuno si voglia prendere la paternità della decisione, a cominciare dallo stesso ministro che, pur rimanendo ferreo sulle sue convinzioni, ha spesso ripetuto di non voler diventare il ‘becchino’ del calcio.

Medici preoccupati

Men che meno vogliono prendersi la responsabilità i medici, che il protocollo, così come è stato licenziato in prima istanza, individua come principali responsabili di ogni decisione sulla salute dei calciatori (e questo, sulla carta, potrebbe anche starci) ma di conseguenza anche sulla effettiva ripartenza o meno del calcio italiano. Perché sulla base delle prassi codificate nel protocollo, alla prima positività dovranno essere i medici a dire se il resto della squadra può proseguire nell’attività (con tutti i rischi del caso) o fermarsi, di fatto quindi bloccando gli ingranaggi di quella macchina dei sogni che è il pallone.

I TIFOSI: «NON SENZA DI NOI»

Calciatori come i normali cittadini?

Per quanto snocciolato in modo complicato, il concetto è molto semplice: se i calciatori devono seguire le stesse misure anticontagio prescritte ai cittadini normali allora non si gioca né ci si allena finché non ci sarà un vaccino. Appurato che ciò non è possibile – perché significherebbe di fatto uccidere molti club, se non addirittura il sistema calcio in Italia – bisogna trovare una via alternativa. Ma chi se la prende la responsabilità? Non certo i medici dei singoli club, che infatti già minacciano dimissioni in massa. In teoria dovrebbero essere i vertici istituzionali, quelli del calcio e quelli del paese. Ma su questo fronte nicchiano tutti – presidenti e politici – sventolando a parole il mantra del periodo (che fino a qualche settimana fa era «la salute innanzitutto» e ora è diventato «salviamo il calcio»).

Che ne sarà delle coppe europee?

Intanto da oltreconfine iniziano a preoccuparsi perché il blocco del calcio italiano – dopo quello francese – sarebbe un bel colpo anche per le competizioni europee, dove il nostro paese è ancora presente con tre squadre in Champions (Juventus, Napoli e Atalanta) e due in Europa League (Inter e Roma). Da dire che pure l’Uefa non è stata in grado di stabilire una linea comune, che è inevitabile per le coppe, ma non solo. Però proprio per questo discorso la sensazione è che, in un modo o nell’altro, la serie A riparta, magari sforando sui tempi imposti dall’Uefa e sui quali la federazione ha già fatto sapere che potrà chiudere un occhio, se non entrambi.

La mutualità

Alla ripresa della serie A guardano con speranza anche le categorie inferiori, non, come si dice, perché potrebbe essere un viatico alla ripresa anche in serie B e in serie C, ma perché dal riavvio del sistema nella sua parte più ricca ricadranno a cascata soldi anche a valle, salvando molti bilanci. Il nodo sarà trovare una soluzione che consenta di dare i nomi di promosse e retrocesse senza che ci siano strascichi legali. E da questo punto di vista il governo ha fornito un bell’assist alle leghe, con una norma ‘ad hoc’ che potrebbe essere inserita nel coiddetto Decreto Rilancio per mettere al riparo le federazioni dai ricordi dei club, affidando tutto, per competenza, al collegio di garanzia del Coni.

Stipendi, accordo (quasi) con tutti

Mentre a Terni l’accordo è stato trovato da tempo, a Gubbio si tratta ancora, con il presidente Notari che ha trovato un discreto muro fra i tesserati, con anche il tecnico Torrente che si è schierato contro il taglio (ma va detto che il monte ingaggi dei rossoblù è assai più basso di quello delle Fere). Situazione interlocutoria, infine, a Perugia. Sul sito ufficiale ormai da tre settimane le uniche news sono quelle per fare gli auguri ai tesserati. I dirigenti non parlano pubblicamente e sui giornali arriva solo qualche spiffero. A quanto si legge, Santopadre ha ottenuto uno ‘sconto’ di un mese e mezzo, ma non da tutti i tesserati. Ce ne sono 4 che non si sono convinti e che, salvo novità, percepiranno tutto. Anche per questo motivo, la società non ha ancora deciso se e quando riprendere gli allenamenti, probabilmente subodorando che la ripresa dei tornei non sarà certo imminente.

Condividi questo articolo su
Condividi questo articolo su

Ultimi 30 articoli