Il terzo trimestre del 2015, secondo Confindustria Umbria – che prende spunto dalla nota autunnale della Banca d’Italia – «conferma gli incoraggianti fermenti di crescita che in Umbria, così come in Italia, stanno pian piano diffondendosi per settori e per territori». Ma non si nascondono i dubbi.
L’analisi Un dato qualitativo, «per dare conto della natura dei processi in atto: tra tutte le imprese intervistate si contano sulla punta delle dita di una sola mano quelle che dichiarano flessioni produttive, nel terzo trimestre, dopo aver registrato una qualche espansione nel precedente e non sono molte quelle che confermano di continuare a diminuire i livelli di produzione. E’ invece un po’ più consistente il numero di imprese in difficoltà e che ancora non riesce a inserirsi nel gruppo di quelle avviate sulla strada della ripresa. In effetti, l’oltre 20 per cento di imprese (23,8%) che ammette l’erosione dei propri livelli di produzione è composto da quante, in gran parte, avevano già in precedenza ammesso di trovarsi in difficoltà».
I dettagli Non a caso, spiega Confinduatria, «il profilo distributivo delle imprese indagate può suddividersi in tre gruppi: quelle che, in numero maggiore rispetto al secondo trimestre, dichiarano di aver aumentato i livelli produttivi su base sia congiunturale (25,5%) sia tendenziale (40,7%). Per di più va notato che quelle che dichiarano aumenti oltremodo consistenti sono il 13,6% su base congiunturale e il 20,3% su base tendenziale. Quelle ‘stabili’, che sono la metà del totale (su base congiunturale). Quelle in ritardo nell’agganciarsi alla ripresa. Sono il 23,8%, un po’ più che nel precedente trimestre, che tuttavia era stato particolarmente brillante, ma anche il 25,5% su base tendenziale, ovvero rispetto ad un trimestre, il terzo del 2014, che si era rivelato quasi del tutto insignificante».
Dati disomogenei Per quanto riguarda la distribuzione territoriale dei risultati ottenuti la situazione appare, secondo Confindustria, «questa volta, piuttosto differente dal solito. Infatti, per la provincia di Perugia, si profila una dispersione delle imprese tra le diverse classi di risultato, da un estremo all’altro dei valori di riferimento. La metà esatta (50,0%) sono quelle che si dichiarano stabili intorno ai risultati precedentemente acquisiti. Per la provincia di Terni, invece, la quota delle imprese stabili è assai più alta e arriva al 66,7%, lasciando poco alle altre classi di risultato: con un certo numero di imprese (pari all’11,1%) che segnalano un moderato incremento di produzione. Il numero si raddoppia (così come la loro incidenza, che arriva al 22,2%) nel caso di aziende con un’equivalente leggera riduzione di produzione».
La speranza Si tratta di numeri che, conclude Confindustria, «indubbiamente inducono speranza e alimentano un po’ più di fiducia rispetto al passato. L’auspicio è che chiunque ne abbia possibilità (e responsabilità) provveda a predisporre tempestivamente appropriate iniziative di accompagnamento. Ai livelli locali così come ai più alti livelli nazionale ed europeo».