‘End of waste’, tanti bastoni fra le ruote

Anche il progetto per il recupero delle scorie di Ast rischia di risentire pesantemente della babele normativa, in ritardo rispetto ai progressi del settore

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L’assemblea generale sul clima convocata dalle Nazioni Unite a New York si è chiusa con una certezza: l’emergenza non può più aspettare. E con alcune parole chiave: sostenibilità, circolarità, innovazione, futuro. Il termine che le racchiude tutte dal punto di vista economico è ‘economia circolare’, obiettivo principe della più recente legislazione europea in tema rifiuti. Ad oggi però, mentre riciclo, recupero e riutilizzo diventano elementi fondamentali per ogni azienda, concetti cruciali come quello di ‘end of waste’ (Eow) restano ancora sospesi tra la normativa comunitaria e quella nazionale, compromettendo la capacità degli operatori di riutilizzare i propri materiali di scarto, nonché il raggiungimento degli obiettivi della stessa normativa europea.

Cosa è

Ma cosa si intende per ‘end of waste’? Si tratta del processo che consente a un rifiuto di trasformarsi in un non-rifiuto, cioè in un prodotto. Si legittima così normativamente la trasformazione di un costo (rifiuto) in valore (non-rifiuto). È un processo che richiede di essere disciplinato con cura, prima di tutto dall’Ue e in seconda battuta dai singoli stati membri. Eppure, nonostante le richieste delle aziende del riciclo di spingere sull’Eow per sostenere l’economia circolare, l’iter per l’emanazione dei regolamenti e dei decreti procede molto lentamente.

Tanto da fare

Cosa è stato fatto finora? L’Ue sino a oggi ha approvato tre regolamenti che hanno segnato il cambio di status per i rottami metallici, di vetro e di rame. Solo tre provvedimenti portano invece la firma del ministero dell’ambiente: combustibile solido secondario (Css), conglomerato bituminoso e prodotti assorbenti per la persona (Pap). Mentre sono in corso di lavorazione i decreti per il polverino di gomma, per i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), per le plastiche miste. Il resto è ancora da fare, pur con le pressanti richieste del mondo delle imprese che ha la tecnologia e il know how per trasformare i rifiuti in valore, evitando di continuare a intasare discariche e inceneritori.

AST, PROGETTO SCORIE: «MIGLIORA L’AMBIENTE»

Ast, il progetto rischia lo stallo

Ne è un esempio il caso di Acciai Speciali Terni che ha voluto più volte evidenziato la volontà di aderire a questa nuova concezione, promuovendo un programma di recupero delle scorie derivanti dalla produzione di acciaio inox, da utilizzare per la produzione di aggregati per sottofondi stradali o per conglomerati cementizi o bituminosi. Il progetto rischia di rimanere bloccato per la mancanza di leggi italiane che regolano la possibilità di produrre materiali da costruzione da scarti di lavorazione. C’è di più: due recenti sentenze, la prima del Consiglio di Stato (la numero 1229 del 28 febbraio 2018) e la seconda della Corte di giustizia Ue (C-60/18 del 28 marzo 2019) hanno bloccato la possibilità, che si era affermata nella prassi, che le Regioni, in attesa dei decreti governativi, potessero rilasciare le autorizzazioni agli impianti per i processi di end of waste. Un’impasse che costa in termini economici ed ambientali.

TUTTO SU AST – UMBRIAON

Il pasticcio normativo

Con riguardo alla disciplina europea, il provvedimento di riferimento sull’end of waste è la Direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti, recepita dalla normativa nazionale all’interno del decreto legislativo 152 del 2006 (Codice dell’ambiente), all’articolo 184-ter (Cessazione della qualifica di rifiuto). Il regolamento dispone che un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfa i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza o oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. Sull’argomento è arrivata poi la sentenza 1229 del 28 febbraio 2018 del Consiglio di Stato in un caso che vedeva contrapposta la Regione Veneto e Contarina spa, che in collaborazione con Fater ha realizzato il primo impianto per il riciclo dei pannolini. Il Consiglio di Stato, richiamando la citata Direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), l’articolo 6 in particolare, stabiliva che spetta allo Stato attraverso il ministero dell’ambiente, e non alle Regioni, individuare i casi e le condizioni in cui un rifiuto può essere considerato ‘end of waste’.

La Corte di Giustizia Europea

La sentenza rischiava di bloccare le attività di recupero di rifiuti a livello nazionale e, di conseguenza, i progressi in ordine al passaggio verso l’economia circolare, poiché molte amministrazioni regionali stavano valutando di procedere in autotutela per revocare le autorizzazioni rilasciate caso per caso. Un anno dopo è arrivata la sentenza della Corte di Giustizia Europea a ribadire la facoltà esclusiva degli Stati di regolare la cessazione della qualifica di rifiuto caso per caso, in assenza di una norma comunitaria o nazionale che detti specifici criteri.

Dallo ‘Sblocca cantieri’ altri intoppi

Con il decreto ‘Sblocca cantieri’ si è aggiunto in Italia un ulteriore intoppo: la norma stabilisce che le autorizzazioni ordinarie per gli impianti di recupero rifiuti devono essere concesse sulla base dei criteri indicati nei provvedimenti che disciplinano il recupero semplificato dei rifiuti. Parliamo, tra gli altri, di un decreto del ministero dell’ambiente datato 5 febbraio 1998. Un provvedimento che risale a 21 anni fa e non contempla le procedure più innovative e le nuove materie prime che è oggi possibile ottenere dai rifiuti. Il risultato è che se una tecnologia scoperta negli ultimi 20 anni per ridare nuova vita a un rifiuto non è contemplata nel decreto del 1998, oggi quel rifiuto finirà in discarica o bruciato in un termovalorizzatore. A meno che non intervenga il ministero dell’ambiente con un decreto ad hoc.

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