di Danilo Stentella
Direttore del Centro studi sociali e politici ‘F.M. Malfatti’
Le fonti tramandano la nascita di un proto ospedale a Terni, la cui origine ufficiale viene fatta risalire al 7 settembre 1366, quando Tristano Di Joannuccio vincolava un lascito testamentario alla confraternita della Beata Vergine di Piazza, forse una filiazione della confraternita di San Nicandro, alla realizzazione di un ospedale per curare i poveri. Nel medioevo la distinzione tra paupertas e infirmitas era così sottile da assegnare agli ‘ospitali’ una funzione prettamente caritativa.
Il patrimonio di questo embrionale presidio sanitario si accrebbe con successive donazioni e lasciti, soprattutto nella prima metà del XVIII secolo, con l’acquisizione dei beni delle soppresse compagnie di Sant’Antonio Abate e di Santa Lucia, che furono incorporate nella Confraternita di San Nicandro, accrescendone perciò le disponibilità.
Nel periodo post unitario l’amministrazione fu affidata alla Congregazione di Carità di Terni, ulteriormente finanziata con le rendite dell’Opera Pia Galeani, che fu soppressa nel 1937, quindi per un anno l’ospedale fu gestito dall’Ente comunale di assistenza di Terni. Nel 1938 per Regio Decreto il nosocomio divenne autonomo, assumendo il nome di Ospedale civile Santa Maria di Terni, valorizzato anche dei patrimoni delle opere pie Eredità Pennacchi, Legato pio Montani Leoni, Legato Rosa di Stroncone, Confraternita di San Giovanni Decollato, Ospedale di San Giovanni in Collescipoli.
Lo sviluppo industriale della città e il suo incremento demografico fecero del piccolo ospedale una struttura inadeguata al bisogno, così che mentre si ipotizzava una nuova collocazione, il piano regolatore Lattes Staderini del 1934 individuava Colle Obito come luogo più adatto. I lavori di sbancamento iniziarono verso la fine della seconda guerra mondiale, prestissimo interrotti dai bombardamenti che colpirono massicciamente la città.
La soluzione adottata in seguito, che definiremmo d’emergenza, fu la trasformazione della caserma dell’Annunziata, un ex convento confiscato, in ricovero sanitario, ammodernato nel 1951 e affidato nello stesso anno all’amministrazione di Poliuto Chiappini, il quale non si adagiò sugli allori della prestigiosa carica, anzi affidò agli ingegneri Silvio Guerrini e Pietro Fringuelli l’elaborazione del progetto esecutivo per un nuovo ospedale a Colle Obito. Il progetto fu approvato dagli organi amministrativi territoriali nel 1956, il 5 novembre 1957 fu posata la prima pietra alla presenza del Ministro ai lavori pubblici Giuseppe Togni e del Sottosegretario al ministero dell’industria Filippo Micheli.
La collocazione, a dispetto del nome non esattamente augurale del colle (Obito deriva dal latino obitus, che tra gli altri ha il significato di morte) fu scelta per l’elevazione rispetto all’abitato cittadino, che nelle torride estati ternane garantiva anche temperature di qualche grado più basse, e per la migliore salubrità dell’aria, tanto che qui fu collocato subito il sanatorio per la cura dei pazienti affetti da tubercolosi e fu piantata una pineta, naturale complemento della cura, oggi area di parcheggio.
Chi aveva progettato questa zona del piano regolatore si era probabilmente ispirato a un maestro dell’urbanistica, Tony Garnier, il quale nel 1904 aveva formalizzato il progetto di una città industriale, ispirata a sua volta a quella descritta da Zola in Travail, pubblicato tre anni prima. Nei disegni di Garnier la città preesistente era appena un modesto villaggio, sulle colline erano gli ospedali e i sanatori, le dighe delle centrali idroelettriche, le miniere, in basso lo stabilimento metallurgico da un lato e dall’altro, in un pianoro sopraelevato, le villette, le scuole e i quartieri residenziali e al centro i servizi collettivi e il municipio.
Una immagine sovrapponibile alla città di Terni negli anni del suo sviluppo industriale. Una immagine che fortemente contrasta con la recente proposta di spostare l’ospedale nella depressione della pianura di Maratta, storicamente celebre per la sua insalubrità, umida in inverno, caliginosa in estate, in mezzo a una esplosione di attività produttive, in un contesto probabilmente reso ancora più insalubre dalla prossimità con almeno un inceneritore.
Lo stesso Tristano con il suo lascito fu inconsapevolmente un precursore dell’articolo 32 della nostra bella Costituzione, immaginando un servizio pubblico, anche questo un principio che fortemente contrasta con chi vorrebbe un ospedale realizzato in partenariato con il settore privato, che per definizione persegue il profitto, non il bene comune.
Da ultimo mi piace evidenziare come i progettisti, anch’essi certamente uomini illuminati, hanno disegnato l’ospedale di Terni a forma di H, perché in tempi di guerra fredda era certamente utile che dall’alto si potesse capire che quello non era un edificio qualunque, ma l’officina dove medici, infermieri e ausiliari riparano il corpo umano.