di Gianni Giardinieri
Non è la prima volta che accade. E speriamo sia l’ultima. In questi giorni, però, si continua a legare il destino del sodalizio rossoverde a quello di presunte società per azioni quotate in Borsa Italiana Spa, in particolar modo su uno degli indici di nicchia: il FTSE Italia Star, che raggruppa circa 75 società. L’indice si chiama Star per un motivo ben preciso: per esservi ammessi, infatti, non sono sufficienti i normali requisiti richiesti dall’indice generale, ma ne occorrono di più stringenti, e più performanti, in ordine alla liquidità, alla trasparenza nella comunicazione e a processi di corporate e management particolarmente rigorosi. L’eccellenza dunque, che non significa grandezza in termini di capitalizzazione. In altre parole, le aziende quotate ammesse allo Star sono i ‘gioielli’ di famiglia.
In questi giorni si è dato molto credito ad una trattativa per la cessione della società controllante la Ternana Calcio, ‘N21’, ad una società quotata sul suddetto indice. Con tanto di lettera di intenti firmata tra le parti (‘LOI’). Chiariamo anche questo punto: una lettera di intenti non è un preliminare di vendita. Semplicemente venditore ed acquirente si impegnano, reciprocamente, a compiere una serie di operazioni propedeutiche al preliminare vero e proprio (‘signing’) ed al successivo contratto definitivo (‘closing’), con il trasferimento effettivo della proprietà di una società.
Tornando all’ipotetica società quotata sull’indice Star ed interessata all’acquisizione della Ternana, ci pare doveroso fare qualche considerazione più tecnica, per fugare qualche imprecisione apparsa sui social, frutto – come è naturale – di un’approssimativa conoscenza della materia. Si è detto e scritto che acquisire una società calcistica, con una forte esposizione debitoria e costi di gestione elevati, porterebbe ad un immediato crollo della quotazione di borsa della Spa acquirente. Molto probabilmente accadrebbe questo, ma non per l’oggetto sociale della Ternana (attività calcistica) ma per il fatto di accollarsi un’azienda che non produce utili e che, anzi, richiede un durissimo piano di risanamento per scongiurare, diciamocela tutta, il fallimento. Inoltre, risulterebbe per i mercati finanziari del tutto irrilevante sapere che l’acquisizione della Ternana sarebbe in capo alle disponibilità economiche proprie dei soci e non della società quotata acquirente.
Nella loro ‘brutalità’ operativa, ben conosciuta da chi si occupa di finanza, mettere a serio rischio i capitali propri di uno o più soci della società acquirente creerebbe comunque uno stato di forte ‘stress’ sistemico a carico della futura controllante delle Fere, minandone credibilità e outlook futuro. Tanto più se fossero vere le voci di un fatturato intorno ai 100 milioni di euro, troppo basso per generare utili in grado di garantire un futuro gestibile alla Ternana. Certo, ogni socio potrebbe avere ampie disponibilità economiche rivenienti da altri assets, magari immobili a reddito, terreni, etc. Ma questo non impedirebbe la caduta di credibilità per quanto sopra. Non sappiamo se ci sia un acquirente in vista per le Fere. Tantomeno se lo stesso sia stato introdotto nella trattativa da Stefano Bandecchi. Ci limitiamo ad osservare che la strada per una felice conclusione della vicenda ci appare molto lunga e ripida, costellata da dossi e tornanti, piena di buche.