Lavoro, salari e bilanci: una sfida da affrontare

Terni, collegare gli uni agli altri potrebbe essere una svolta. Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

I problemi con cui i sindacati sono chiamati a misurarsi sono principalmente due: il tipo di relazioni industriali e la sfida che gli industriali lanciano loro sulla contrattazione, in special modo su quel che riguarda il salario o se si vuole i nuovi contratti di lavoro.

Per questo era sembrato di particolare interesse il confronto promosso dalla Cgil ternana proprio sulle relazioni industriali tra Susanna Camusso e Lucia Morselli, l’amministratore delegato di Ast, “la fabbrica”. E’ andata com’è andata, ma il fatto che in quella occasione si sia registrato un primo, timido approccio ad una delle questioni emergenti, è positivo. Se non altro perché significa che il sindacato – ma non poteva essere altrimenti – ha preso atto dell’esistenza del problema.

Anche su questo ci si gioca il ruolo e il peso del sindacato dei lavoratori, e quindi il ruolo e il peso del lavoro che è un diritto, il perno su cui s’innesta la carta Costituzionale, il sinonimo della dignità di ciascun cittadino. Il lavoro motore della crescita della società. Argomenti ben noti, al punto che è inutile richiamarli. Ne discende che il ruolo dei lavoratori in seno alla comunità è centrale. Ma ormai i suoi connotati non possono non adeguarsi alle mutate esigenze e condizioni del mondo della produzione, rivoluzionate, in una qualche maniera, dal “terremoto” cominciato una decina di anni fa.

Per esempio il salario. Ormai la discussione è su un principio in molte parti condiviso secondo cui necessario andare oltre i contratti nazionali così come essi erano intesi nel passato. O meglio: una serie di princìpi e di scelte di base restano valide e necessarie per tutti e ovviamente non si toccano. Ma c’è una parte proprio del salario che – il dibattito in corso è questo – si vuole legato alle sorti dell’impresa, ai bilanci, agli investimenti, alle condizioni finanziarie oltreché produttive.

E su questo perché i lavoratori devono lasciar decidere altre componenti sociali dell’impresa, salvo poi contestarle e respingerle? Perché non possono avere la forza di pretendere che i bilanci delle imprese siano sani ed eticamente corretti? Che l’indebitamento non raggiunga livelli per cui i profitti perdano consistenza? Che i manager siano capaci e selezionati sulla base del merito e non del “censo”?

Porsi la questione è d’obbligo da parte dei sindacati dei lavoratori. Salario collegato all’impresa ma solo se sarà possibile rispettare certe condizioni. Per fare un esempio: sarebbe legittimo conoscere le cifre reali su produzione, ricavi, margini operativi, finanziamenti, valore della fabbrica; sapere, per dirne una, se l’Ast annuncia investimenti per tener buona la piazza o se davvero ne ravvisa utilità e necessità; se davvero intende mantenere la proprietà delle acciaierie… e via cantando.

Lo saprebbero, i lavoratori, e con certezza perché anche loro sarebbero lì a decidere, a confrontarsi, a scegliere. Non sono processi di un giorno e, anzi, può darsi che non sia una strada che si possa percorrere. Ma una discussione intorno vale la pena di farcela.

I sindacati Cgil, Cisl, Uil dell’Umbria hanno intenzione di far sentire la loro presenza ed hanno promosso una serie di assemblee nei luoghi di lavoro, di confronti coi lavoratori per misurarne umori, volontà, impegno. Per conoscerne aspirazioni, pareri e proposte. Vogliono costruire una nuova piattaforma che venga dal basso. E’ una grande novità? In teoria dovrebbe essere stata sempre questa la prassi.

La novità più che nel metodo potrebbe invece stare nel coraggio di affrontare decisamente temi nuovi. Sennò si corre il rischio di scendere in piazza, di proclamare qualche sciopero generale magari per ottanta euro di aumento. E non sarebbe una gran novità.

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