di Valerio Zafferani *
Ogni processo ha il suo momento clou nel raggiungimento del risultato finale rispetto all’obiettivo prefissato, e come questo risultato viene rendicontato e comunicato ai pubblici di riferimento.
Non è diverso il focus nel processo di sostenibilità, processo che abbiamo illustrato nei dieci precedenti articoli. Esso si snoda sinuoso attraverso un percorso più o meno definito che comporta tanto lavoro e stimola emozioni. Dalla sensibilizzazione della cultura d’impresa al coinvolgimento della proprietà aziendale, ai vari step dell’assessment, dei piani strategici, della matrice di materialità, al concretizzarsi in azioni della strategia grazie ai KPI, all’audit interno per la valutazione dei cambiamenti apportati fino alla validazione del tutto.
Ma a cosa servirebbe tutto ciò se non venisse rendicontato e comunicato? A poco. E non perché non sarebbe comunque utile all’impresa, essa potrebbe comunque trarne vantaggio ‘de facto’, ma più che altro perché non attiverebbe quell’engagement (ingaggio e coinvolgimento) che tanto risulta utile alle performance individuali, e di conseguenza aziendali, interessando e stimolando, altresì, quell’ecosistema degli stakeholder che più volte abbiamo richiamato nei precedenti scritti.
Spesso, a livello consulenziale, ci si rende conto di quanto le aziende già mettano in atto azioni di sostenibilità senza rendersi conto, però, che potrebbero perimetrare tutto ciò in un processo di sostenibilità strategica con innegabili vantaggi. Certamente un’azienda che mostri tale attitudine potrebbe risultare più semplice da coinvolgere nella rendicontazione e nella comunicazione, anche se talvolta il carattere filantropico di un imprenditore od un’inclinazione naturale dell’impresa alla socialità e alla cura dell’ambiente potrebbe rivelarsi un ostacolo. Infatti si dovrebbe trasformare una semplice propensione in un lavoro vero e proprio e questo non rientra in modo naturale nelle corde di tutti.
Appare chiaro quanto per favorire le relazioni con le istituzioni, con le banche, con i mass media, con alcuni fornitori strategici e alcune tipologie di clienti sia chiave tracciare tale processo e comunicarlo. E mi preme mettere in luce l’importanza di come tale azione impatti sui dipendenti, e sulla compagine aziendale tutta, che in questo coinvolgimento finale di rendicontazione e comunicazione risulta basilare per il raggiungimento di qualsiasi obiettivo. Questo dovrebbe essere l’obiettivo primario perché le persone sono il motore dell’azienda e, fuor di retorica, se si inceppa il motore possiamo dimenticarci il profitto e di conseguenza nessun processo di sviluppo sarebbe realizzabile.
Misurare un processo di sostenibilità non è semplice perché i KPI, come già abbiamo avuto modo di sottolineare, non sono così scontati da ideare, creare e mettere a processo. Però un conto è misurare giusto per, un conto è misurare per rendicontare. Oggi, in piena attività di legiferazione europea, la norma di riferimento per la rendicontazione è la Corporate Sustainabilty Reporting Directive (CSRD) che, ha preso forma nel 2022 ed entrata in vigore il 25 settembre 2024 con la legge 125/2024 (D.Lgs. del 6 settembre 2024 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il giorno 10 dello stesso mese). La CSRD ha inglobato gli standard ESRS, ossia i criteri di sviluppo sostenibile europei, riconducibili in 12 punti suddivisi per criteri trasversali e tematici (5 punti per la E, 4 punti per la S e 1 punto per la G). Senza dilungarsi su tecnicismi che non avrebbero appeal in questo contesto mi limito a registrare le caratteristiche di tale normativa.
Innanzitutto preciso che la prescrizione della norma non è tanto nel cosa fare per la sostenibilità strategica ma si riferisce più che altro alla sua rendicontazione. La CSRD richiede, quindi, alla imprese coinvolte di divulgare il proprio impatto su azioni di governance, sociali ed ambientali. L’obiettivo è fornire chiarezza per aiutare gli stakeholder a valutare al meglio le prestazioni di sviluppo sostenibile di un’azienda e i rischi correlati. Tale legge amplia non di poco i requisiti di rendicontazione della precedente direttiva, la NFRD, ossia la dichiarazione non finanziaria dell’impresa.
Una delle importanti novità, colonna della CSRD, è il concetto di doppia materialità, ossia la valutazione degli impatti sia finanziari che della catena del valore che un’impresa mette in atto sviluppando il processo. Quindi la norma spinge l’azienda ad esporsi sia verso la transizione green, secondo gli accordi di Parigi del 2015 per contrastare il cambiamento climatico, sia nel coinvolgimento dei CDA aziendali e collegi sindacali, sia nei temi di materialità collegati sia agli ESG che agli Sdg’s dell’Agenda ONU 2030.
Meritano inoltre menzione come novità: la presenza di un’assurance (verifica), ossia di un metodo di valutazione che impiega un insieme definito di principi e di standard volti a valutare la credibilità e la qualità di elementi relativi all’organizzazione che effettua il rendiconto e l’inevitabile regime sanzionatorio per le azienda obbligate dalla norma a metter in atto il processo.
Ad oggi le aziende obbligate dalla CSRD sono intorno alle 10 mila ma man mano che si andrà avanti nel tempo, con la norma che diventerà più stringente, si arriverà intorno alle 50 mila e oltre. Come descritto nell’articolo dei rischi del non mettere in atto la sostenibilità strategica, al netto di quello normativo, c’è il tema della filiera produttiva. Infatti, queste aziende di importanti dimensioni, sia di fatturato che di popolazione aziendale, spesso sono capo filiera in una catena del valore che va a comprendere, nei vari passaggi fino a valle, aziende che forse non verrano mai coinvolte dal rispetto normativo ma saranno escluse implicitamente dalla stessa capo filiera in quanto non in grado, per i più svariati motivi, di rispettare i criteri ESG richiesti. Di fatto, quindi, verranno escluse dal mercato in favore di competitor più virtuosi.
‘Il dado è tratto’, Giulio Cesare docet, ed ecco quindi che la sostenibilità con l’attuazione della CSRD non sarà mai più una moda ma una scelta di campo, un posizionamento di mercato e, infine, un’attività di reporting.
Nel prossimo articolo tratteremo il tema della comunicazione del processo, sia interna che esterna, che diviene esercizio fondamentale per raggiungere in modo efficace e coinvolgente il target di riferimento e per far si che lo sforzo sostenuto non resti lettera morta o, peggio, attivi il rischio di greenwashing, per quanto inconsapevole.
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* ESG innovation manager per l’Umbria, consulente e formatore per la sostenibilità strategica, con esperienza nel settore del marketing e della comunicazione. Dopo aver operato come imprenditore nel settore dei prodotti naturali per 15 anni, ha canalizzato la sua attenzione per la sostenibilità focalizzandosi sulle politiche ESG. Nel 2021 ha debuttato come autore con il suo primo libro, ‘Quanto Basta’ (Intermedia Edizioni), che esplora la relazione con la clientela. Attualmente sta lavorando al suo secondo libro. Ha conseguito la laurea in scienze dell’amministrazione presso l’università di Siena e ha arricchito la sua formazione con tre master presso la 24 Ore Business School: gestione e strategia d’impresa, marketing e comunicazione, HR e sostenibilità. È anche l’anchorman del programma YouTube ‘Un’ora con…’, dove conduce interviste con professionisti ed imprenditori per promuovere la cultura aziendale e sociale.