di Giovanni Cardarello
‘Tanto tuonò che piovve’, possiamo partire dal vecchio adagio popolare, come sempre pieno di insegnamenti per il presente, quello che sta accadendo nel territorio della regione Umbria in merito ad un tema molto delicato e sentitissimo dai pazienti, l’attività del medico di medicina generale. Per tutti il medico di base o medico di famiglia.
Parliamo della figura che rappresenta il presidio primario (e di prossimità) fondamentale nel rapporto tra Sanità regionale e paziente. Della figura che indirizza (e prescrive) le cure. Per non tacere della figura con cui si ha il principale rapporto di fiducia e stima personale che rappresenta per l’Organizzazione Mondiale per la Sanità uno degli elementi centrali del percorso di cura. Medici di famiglia che però sono sempre meno.
In Umbria, in verità, c’è ancora un buon rapporto medico/paziente, 1.179 assistiti di media, ma a livello nazionale sono sempre meno. Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe ne mancano 5500 e a dicembre c’è stato un ampio turnover. Umbria compresa. Per questo motivo c’è grande attenzione per il bando relativo al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale per il triennio 2025-2028.
Un percorso formativo obbligatorio, avviato ogni anno, e dedicato a i laureati in Medicina e Chirurgia che intendono acquisire il diploma di Medico di Medicina Generale e lavorare nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale. Il corso ha una durata di tre anni e prevede la frequenza obbligatoria a tempo pieno.
Il monte ore complessivo delle ore di formazione è di 4.800 ore, con una prevalenza di attività pratica (circa 3.200 ore) e una parte teorica (circa 1.600 ore). La formazione pratica si svolge presso le strutture del Servizio Sanitario Regionale (ospedali, poliambulatori, studi di medici di medicina generale accreditati). Ma l’ultimo test di ingresso per il corso CFSMG ha restituito una serie di criticità piuttosto importanti.
Criticità che vengono riferite, con grande evidenza, dall’edizione oggi in edicola del Corriere dell’Umbria. In un articolo a firma Alessandro Antonini si dà conto del fatto che dal test in questione hanno accettato l’ingresso al corso solo 16 dei 45 partecipanti. Il 33%. Un dato che ha allarmato in primis gli stessi corsisti i quali con una lettera inviata alla Presidente della Regione Umbria Stefania Proietti e alla direttrice della Direzione Salute e Welfare Daniela Donetti hanno messo in fila dubbi e criticità.
Questi i temi sollevati. Il primo è il ruolo che i medici di medicina generale avranno nelle Case e negli ospedali di Comunità, l’istanza intermedia tra ospedali e Usl dove i dottori dovranno prestare servizio oltre la propria attività di laboratorio. Secondo i corsisti non sono chiari i compiti, c’è un oggettivo aumento delle ore lavorative e soprattutto si rischia un aumento esponenziale dello stress con parallelo aumento del rischio di errore nelle diagnosi.
Nella lettera i corsisti sollevano anche la questione dell’iscrizione al ruolo unico e in particolare il passaggio tra l’essere attivi nelle cosiddette ‘Zone Carenti’ e ambire al ruolo stesso. La lettera si sofferma, inoltre, sulla questione di genere. Secondo i dati è in grande aumento la presenza di donne interessate a svolgere il ruolo del medico di famiglia. Una inversione di tendenza importante e interessante. I corsisti chiedono quali attenzioni ci sono rispetto ai tempi di Vita con il doppio lavoro di ambulatorio e turno nella Casa di Comunità. Soprattutto quelli notturni.
La lettera si chiude con la richiesta di una mediazione istituzionale in assenza della quale anche chi ha già firmato la convenzione potrebbe decidere di lasciare la posizione vacante. I corsisti, ovviamente, auspicano «un dialogo aperto e costruttivo». Ma il tema è posto e diventa un macigno sia a livello sanitario che politico in un quadro già di per sé molto complesso e una serie di questioni irrisolte