Oltre sei ore per spiegare che quella tragica notte del 26 marzo 2013, in via Ettore Ricci, Riccardo Menenti non voleva uccidere Alessandro Polizzi, ma che – anzi – la Beretta 34 era in mano alla vittima. Dopo le richieste formulate lo scorso 2 aprile dal pm Antonella Duchini («ergastolo per entrambi e isolamento diurno per 18 mesi»), lunedì hanno parlato i difensori di Riccardo Menenti e del figlio Valerio.
«Omicidio preterintenzionale» I tre legali che li assistono – Francesco Mattiangeli, Giuseppe Tiraboschi e Manuela Lupo – hanno spiegato perché l’accusa nei confronti di Menenti-padre, indicato come l’autore materiale dell’omicidio di Alessandro Polizzi, debba essere derubricata da omicidio volontario a preterintenzionale. Secondo i legali, le prove scientifiche avrebbero dimostrato che la pistola era in mano alla vittima, in ragione del Dna presente sul grilletto, del colpo partito a bruciapelo (e quindi compatibile con una colluttazione) e di quelle che sono state definite «le numerose contraddizioni dei testimoni, fra cui Julia Tosti, nel corso del dibattimento».
La ricostruzione Le difese hanno anche spiegato perché i giudici debbano escludere le aggravanti della premeditazione, della crudeltà – in riferimento anche alla sentenza-Parolisi – e dei futili motivi. Di contro, secondo i legali dei Menenti, va tenuto conto non solo delle attenuanti generiche, ma anche dello stato d’ira dei due imputati, determinato da ‘atti ingiusti altrui’. Per Valerio Menenti è stata chiesta l’assoluzione, anche dall’accusa di maltrattamenti verso Julia Tosti, e sono state contestate le conclusioni del pm Duchini che nella sua arringa ha parlato di «concorso materiale, e non solo morale, nel delitto». Un fatto che per gli avvocati Mattiangeli, Tiraboschi e Lupo rappresenta una «violazione inammissibile del diritto di difesa». La sentenza è attesa per lunedì 27 aprile.