Ospedale di Terni, l’aborto si fa ‘strano’

La procedura non è effettuata da ginecologi, ma da un chirurgo. Il racconto di una donna e la spiegazione del direttore sanitario

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di Alessandra Vittori

«Per me l’aborto è scegliere di non cedere a un ricatto», Livia (nome di fantasia) ha iniziato così il racconto della sua esperienza. Eppure, sebbene la legge 194 sia entrata in vigore da più di 40 anni, l’interruzione volontaria di gravidanza per le donne è molto più simile a un calvario che a un diritto. Nonostante il 66 per cento di obiettori di coscienza, l’Umbria è una delle regioni in cui la donna è realmente libera di far valere il suo diritto, potendo anche scegliere come abortire, se con il ‘classico’ intervento chirurgico o con quello farmaceutico. Le Ivg (interruzioni volontarie di gravidanza) eseguite nel territorio sono oltre il 70 per cento l’anno.

Narni, l'ospedale

L’ospedale di Narni

La storia di Livia «Quando ho scoperto di essere incinta – racconta ‘Livia’ – ho deciso subito. Mi sono informata su internet e in 10 minuti ho visto che a Narni si pratica l’aborto con la Ru-486. Così ho telefonato e mi hanno spiegato che dovevo recarmi al consultorio di Terni. Qui mi hanno fatto il certificato che ho dovuto presentare in ospedale. Della mia scelta erano a conoscenza solo due mie amiche che mi hanno aiutato moltissimo, e oggi mi hanno sostenuto nel momento cruciale, cioè quando ho dovuto ingerire la prima pillola, quella che dovrebbe interrompere la gravidanza. Voglio precisare che è stata la scelta più giusta che potessi fare, scelta che rifarei se mi trovassi nella situazione in cui effettivamente sono. Non ho preso questa decisione perché non voglio figli, anzi, ho già una bambina, ma ci sono problemi con il mio ex compagno (che poi sarebbe stato anche il padre di questo bambino). Ho avuto la conferma di aver deciso per il meglio proprio perché parlando con lui mi ha detto esplicitamente che non è stato un ‘incidente’, ma che la gravidanza era frutto di una cosa fatta di proposito, per non lasciarmi andare. Questo figlio, di cui lui non sa nulla, sarebbe stata la mia ‘catena’».

Ospedale Terni Santa Maria 2

L’ospedale di Terni

Un simbolo Questa non è la storia con la ‘s’ maiuscola, ma il simbolo che nel nostro territorio le donne possono trovare ‘un’àncora di salvezza’ a cui appigliarsi. Anche qui però non tutto è perfetto. Delle anomalie ci sono ed è bene sottolinearle, anche se non sono un impedimento al servizio, anzi. Probabilmente le donne a Terni possono scegliere di non portare a termine la gravidanza anche se c’è una ‘strana’ situazione.

Ivg a Terni Se a Narni il tipo di aborto più frequente è quello farmaceutico con la pillola abortiva (Ru-486), a Terni l’unico servizio offerto è quello chirurgico. Finora niente di strano, se non fosse per il fatto che la pratica non viene eseguita nel reparto di ginecologia, ma nei poliambulatori. Ma neanche questo stupisce più di tanto, potrebbe essere semplicemente una scelta. La vera anomalia sta nel fatto che le Ivg non vengono eseguite dai ginecologi, ma da un chirurgo generale: il dottor Quintino Rozzi.

Quintino Rozzi

Quintino Rozzi

Il chirurgo «Ho sempre praticato le Ivg – spiega Rozzi – da quando la legge è entrata in vigore. La donna deve poter scegliere se portare a termine la gravidanza o no, per questo non ho mai pensato di diventare obiettore. Non so perché questi interventi non vengano fatti in ginecologia, forse i colleghi sono troppo impegnati e quindi l’azienda ha deciso di lasciare le cose così. Io mi sono organizzato e faccio circa sei sedute al mese. La giornata dedicata agli aborti è il giovedì, ma quando la richiesta è maggiore aggiungo anche il martedì».

Richieste in calo Il dottore chiarisce che le richieste di aborto sono notevolmente diminuite con il passare degli anni per questo riesce a gestire da solo tutto il lavoro che c’è da fare. «Quando ho iniziato – dice – si facevano circa 3 mila aborti l’anno. Ora i numeri sono molto più bassi. Posso anche dire con certezza che la maggior parte delle mie pazienti sono straniere, soprattutto indiane. Però ci sono anche italiane. La maggior parte ovviamente viene dalla città, ma non è così insolito trovare donne che vengono da altre regioni. Nonostante tutto le liste di attesa non sono mai molto lunghe. Cerchiamo di essere più efficienti possibile organizzando gli interventi in base alle settimane di gravidanza della paziente».

Sandro Fratini

Sandro Fratini

La risposta del direttore sanitario «Nella nostra azienda – spiega Sandro Fratini – le interruzioni volontarie di gravidanza vengono effettuate nella sala operatoria dei poliambulatori, dove vengono svolti interventi di chirurgia ambulatoriale. Questa scelta è stata fatta per garantire alle donne la privacy. Inoltre, trovandosi insieme in questo spazio ‘intimo’ possono più facilmente confrontarsi. I ginecologi nel nostro organico sono 14 più il primario. Tra questi solo due non sono obiettori per questo il servizio 194 è assicurato dal nostro chirurgo esperto che da sempre riesce a garantire il servizio. Inoltre il numero di Ivg si è notevolmente ridotto nel tempo. Nel 2015 sono state 193 (ma nel primo trimestre del 2016 sono già 109; ndr) quindi riesce a gestire tutto da solo, evitando anche liste di attesa inutili»

La denuncia della Cgil L’11 aprile 2016 è stata resa pubblica la decisione del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa che ha accolto il ricorso della Cgil sulla mancata applicazione della 194 e sulle condizioni lavorative del personale non obiettore. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin però ha subito ribattuto sostenendo che i dati su cui si è sentenziato sono vecchi e non aggiornati.

La risoluzione positiva Il 6 giugno però il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa si è pronunciato nuovamente, dopo aver analizzato i nuovi dati presentati dalla Lorenzin sia a livello nazionale che disaggregati per ciascuna Asl. Durante questa seconda ‘lettura’, il Comitato ha “accolto gli sviluppi positivi” affermando che il numero di obiettori nel nostro paese è congruo perché nel tempo è rimasto costante, fin dall’entrata in vigore della legge, mentre le Ivg si sarebbero addirittura ridotte.

Due giudizi contrastanti Il nodo sta nel metodo di rilevazione. Se un trattamento sanitario viene eseguito vuol dire che c’è un medico disposto a farlo. Ma nel caso dell’aborto la situazione è diversa. A causa dell’elevato numero di obiettori, spesso le Ivg non vengono prese in carico e quindi non vengono registrate dall’ospedale.

Dati Analizzando i dati disponibili riguardo all’obiezione di coscienza fino a oggi però non sembra che ci sia stato questo miglioramento. Infatti, il numero di ginecologi obiettori è diminuito solo in tre regioni: Lazio, Sardegna e Trentino Alto Adige, ma solo nella provincia di Trento. In quella di Bolzano sono aumentati, arrivando a toccare il 90 per cento. Nelle ‘mappe’ seguenti le informazioni pubblicate nel 2014 e nel 2015.


La risposta della Cgil La replica del sindacato non si è fatta attendere. «Questa risoluzione non modifica le decisioni di condanna nei confronti del nostro Paese; ma si inserisce nella procedura di monitoraggio successiva all’accertamento delle violazioni, che aiuta lo Stato a superare tale condizione. Nel nostro Paese è accertata la violazione del diritto alla salute delle donne, del principio di non discriminazione – sottolinea Loredana Taddei, responsabile delle politiche di genere della Cgil nazionale – e del diritto al lavoro e alla dignità sul lavoro dei medici non obiettori di coscienza: non ci si nasconda, è necessario rimuovere gli ostacoli alla piena applicazione della legge 194. La riduzione delle interruzioni volontarie di gravidanza, che è un obiettivo auspicabile, si accompagna purtroppo – continua – all’aumento di interruzioni di gravidanza clandestine e/o autoindotte, che, come accertato dal Comitato Europeo dei diritti sociali, è da ricondursi alle difficoltà di accesso al servizio legale di interruzione di gravidanza. Le donne, infatti, sono costrette a spostarsi da una struttura all’altra, nella stessa città, in regioni diverse o addirittura recarsi all’estero, per trovare un ente ospedaliero che assicuri la prestazione richiesta. Spostamenti che non consentono di effettuare il trattamento entro i termini previsti dalla legge 194, penalizzando in particolare le donne meno abbienti e immigrate». Il prossimo appuntamento con il Comitato europeo dei diritti sociali è nel 2017, quando l’Italia riferirà gli aggiornamenti sulla situazione, presentando all’analisi gli ultimi numeri registrati.

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