Congresso autunnale per voltare pagina

Il commissario Pd Umbria Walter Verini annuncia i nomi della commissione che porterà il partito ad avere una nuova guida. Gli errori del passato e l’appello all’unità

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Letizia Michelini, Giuseppina Bonerba, Giacomo Chiodini, Mario Tosti, Enrico Menichetti, Paolo Baiardini, Moreno Landrini, Stefania Moccoli, Daniela Tosti, Luisa Basili, Adriano Padiglioni, Stefania Cherubini, Giampiero Lattanzi, Catia Massetti e Damiano Bernardini: questi i nomi della commissione regionale che avrà l’onere di organizzare il prossimo congresso del Partito Democratico dell’Umbria, il prossimo autunno.

«Il declino è cominciato prima dell’inchiesta»

Un appuntamento delicato, già rimandato causa coronavirus nei mesi scorsi, attraverso il quale il partito proverà a ridarsi una gestione e una direzione lineari, dopo gli scossoni – elettorali e giudiziari – che hanno portato al suo commissariamento. Su questo aspetto il commissario Walter Verini, durante la conferenza stampa di sabato mattina nella sede di via Bonazzi, batte molto: se è vero che, tecnicamente, è stata l’inchiesta della magistratura a provocare il ribaltone («A un certo punto ci siamo trovati senza segretario», commenta, senza mai citare né Bocci né la presidente Marini), al tempo stesso evidenzia come il declino del partito fosse cominciato già diversi anni prima, fin dal 2014, quando il partito perse l’amministrazione comunale di Perugia, andata ad Andrea Romizi, più per dissidi interni che per reale forza dell’avversario. E così in altre città che, in questi anni, sono andate a destra.

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Gli spazi vuoti lasciati dagli altri

Obiettivo è riguadagnare spazio e consensi alla destra, incuneandosi negli anfratti lasciati liberi dalla giunta regionale, il cui primo anno di lavoro, a Verini, proprio non è piaciuto (e cita alcuni dei temi che hanno animato il dibattito di questi mesi: dall’ospedale da campo alla pillola abortiva, fino alle diverse vertenze aperte) pur dando atto che i toni sono stati meno esagerati e ‘urlati’ di come si temeva all’indomani della vittoria elettorale. Verini dice di volere un partito ‘aperto’, come quello immaginato da Veltroni al Lingotto. Un sogno tramontato quasi subito («E infatti Veltroni si dimise», ricorda) e che ha portato invece il Pd a mutuare il peggio dei vecchi partiti che lo hanno generato, con correnti e faide interne. Anche l’apertura è tramontata, sancita dalle modifiche al regolamento sui congressi regionali: ora votano solo gli iscritti, quelli che hanno la tessera. Sarà poi l’assemblea generale ad eleggere il segretario. In quella competizione, due anni fa, lui fu sconfitto da Bocci, appena un anno e mezzo fa. Sembra passata una vita.

Gli ideali e l’amara realtà

Oggi come allora, Verini parla di un ‘partito ideale’ che «non abbia correnti», che badi «al noi anziché all’io», che veda «il potere come mezzo non come fine», ma oggi come allora la sensazione è quella di dichiarazioni teoriche, contrapposte alla concreta realtà di uno scontro interno fra i reduci del vecchio potere dirigenziale e quelli più fedeli al commissario; scontro già emerso in tutta la sua evidenza poco prima del lockdown con l’iniziativa al Park Hotel di Ponte San Giovanni, organizzata dai cosiddetti ‘dissidenti’ del Pd, in cui ci sono molti dei sindaci che in questi anni hanno vinto le loro battaglie, più per forza personale che per forza di partito. Dalla – necessaria e inevitabile – sintesi fra queste due fazioni nascerà la direzione del nuovo Pd.

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