di Gianluigi Giusti
del Coordinamento Comitati Pendolari Umbri
Ogni giorno in Umbria circa 29.000 persone viaggiano in treno per ragioni di lavoro o di studio, anche oltre i confini regionali. Tuttavia per la politica sono quasi dei fantasmi. E la questione si trascina ormai da troppi anni.
Occorre risalire a quando, nel 2000, è stata concessa autonomia regionale in materia di trasporto ferroviario locale. A partire da tale momento, le regioni sono state chiamate a definire di concerto con la società di gestione del trasporto ferroviario la quantità, i costi e gli standard di qualità dei servizi. Ovviamente, ciò ha avuto ripercussioni differenti nei vari territori, virtuose o meno a seconda delle scelte che hanno caratterizzato le politiche in materia.
Se è vero che negli ultimi anni lo Stato ha tagliato fino al 19,1% dei fondi per trasporto pubblico su ferro, è altrettanto vero che alcune Regioni non hanno minimamente inteso sopperire a tali carenze con risorse proprie, limitandosi per lo più ad utilizzare quelle (minime) provenienti dal Fondo Nazionale per il Trasporto Pubblico Locale, anche Ferroviario per le Regioni a Statuto Ordinario.
L’Umbria, purtroppo, è tra queste: sono state stanziate solo lo 0,06% delle risorse di cui al bilancio regionale, pari a circa 3,95 euro pro capite.
Per avere un’idea dell’esiguità dell’investimento, basti solo pensare che la Toscana spende per persona Euro 11,70, l’Emilia Romagna Euro 9,78, la Campania Euro 6,74.
La situazione è poi peggiorata da quando è stato deciso a livello regionale di imputare al bilancio generale, anziché alla voce Trasporti, le somme che Trenitalia annualmente versa per penalità e decurtazioni, così determinando un’ulteriore riduzione delle già scarse risorse disponibili per tale settore. La Corte dei Conti, che di ciò è stata interessata con un esposto del febbraio scorso, farà senz’altro luce sulla correttezza o meno di tale scelta che comunque, anche a prescindere dalla eventuale regolarità contabile, sta avendo ripercussioni negative per i viaggiatori.
E i risultati di siffatte politiche sono sotto gli occhi di tutti: dal punto di vista strumentale, l’età media dei materiali utilizzati da Trenitalia per i servizi sovraregionali è di oltre 25 anni, più o meno come quella dei convogli in uso dal gruppo Busitalia Sita Nord (exFCU); dal punto di vista del servizio, è un susseguirsi di malfunzionamenti, ritardi, carenze, con eclatanti vuoti di orario in alcune significative fasce giornaliere durante tutto l’arco della settimana.
Come non ricordare a tal proposito la più volte segnalata mancanza di treni diretti il sabato pomeriggio da Perugia per la Capitale e viceversa, o ancora la mancanza di convogli per quattro ore nella mattinata dei giorni feriali che arrivano addirittura a cinque ore e trenta minuti nei festivi, verificatasi a seguito della modifica dell’orario di partenza di un IC per Ancona, sulla direttrice Roma/Foligno/Perugia – Ancona?
O anche il fatto che sempre, nel pomeriggio dei giorni festivi, mancano collegamenti per circa quattro ore sulla stessa direttrice verso Roma?
Siamo ben consapevoli che i Regionali Veloci siano oggi treni ricadenti nel Trasporto Pubblico Locale, ma in sostanza essi non sono altro che la prosecuzione storica dei vecchi collegamenti di media/lunga distanza classificati Direttissimi/Diretti, poi divenuti Espressi/Interregionali etc.etc., rientranti a suo tempo nel cosiddetto Servizio Universale (Stato/FS) e passati poi in carico delle Regioni con l’accordo di Tivoli del Duemila. Quindi collegamenti di interesse primario per la collettività.
Però siamo altrettanto coscienti che non ci si può trincerare dietro un mero cambio di nome o una modifica di competenze per giustificare tempi morti così lunghi nei servizi, magari ripetendo il solito ritornello della mancanza di risorse.
Anche perché il perpetuarsi dell’assenza di collegamenti per lunghi periodi, per un verso colpisce il cittadino che vede compressi i propri diritti costituzionali alla mobilità e al lavoro, esponendo i soggetti gestori anche al rischio di eventuali azioni risarcitorie, per l’altro va a totale detrimento dei flussi turistici in una regione, come l’Umbria, che sembra limitarsi a fare spot per invitare a visitare le sue bellezze, senza ovviare alla carenza di collegamenti ferroviari per raggiungerle.
A qualche situazione si è e si sta cercando di porre rimedio, con soluzioni per altro a costo zero per la nostra regione (dall’11 giugno, il sabato pomeriggio è in servizio il RV 2485 Perugia/Roma partente ore 13:43 arrivo ore 16:33 e il RV2486 Roma/Foligno partente ore 17:00 arrivo ore 18:44; mentre dal 4 settembre, dal lunedì al sabato,verrà anticipata alle ore 09:30 la partenza del RV2322 Roma/Ancona attualmente partente alle ore 11:22). Altre, invece, quelle relative ai disservizi nei giorni festivi per essere precisi, rimangono in tutta la loro gravità, per mancanza, quasi sicuramente, di volontà di trovare una risoluzione e/o di mettere i soldi.
Ma è evidente, in tutto questo, che la nostra regione non considera come strategico o prioritario il trasporto ferroviario.
Lo dimostrerebbe il fatto che, per quanto ci consti, non siano state fin’ora utilizzati per il Trasporto Pubblico le risorse dei programmi finanziari europei quali i Fondi Strutturali e d’Investimento Europei (SIE), utilizzabili per la mobilità urbana, gli ex Fondi FAS – ora Fondi sviluppo e coesione – previsti per le aree sottosviluppate e il piano operativo delle infrastrutture, né gli altri programmi europei quali Jaspers, Interreg, Urbact 3, Horizon 2020.
Tantomeno, forse, si è pensato di attingere al Connecting Europe Facility (CEF) che ha la finalità di minimizzare le criticità ed ovviare a problematiche esistenti non solo nelle reti energetiche e digitali, ma anche nei trasporti. Senza dimenticare, infine, le possibilità offerte dal cosiddetto piano Junker – il Fondo Europeo di Investimenti Strategici (FIES) – di cui alcune Regioni Italiane (ad esempio il Lazio) intendono avvalersi proprio per i Trasporti/Infrastruttura. Per completezza di informazione i fondi SIE e FIES possono essere complementari.
D’altro canto, ad oggi, solo pochissimi politici umbri hanno levato la voce verso la lunga gestazione nel completamento della tratta Spoleto – Campello, così come contro il mancato raddoppio della Terni – Spoleto. Eppure il CIPE, nella seduta del 10 agosto 2016, ha espresso parere favorevole sullo schema di aggiornamento 2016 del Contratto di Programma (CdP) di Rete Ferroviaria Italiana 2012-2016, parte investimenti, sottoscritto il 17 giugno 2016 e approvato con legge 1 dicembre 2016 n. 225, per l’opera “Raddoppio Orte-Falconara: tratta Spoleto-Terni”, facente parte della legge obbiettivo (primo programma delle infrastrutture strategiche, delibera n. 121 del 21/12/01).
Ed è evidente che tale opera è strategica per la nostra regione sia in funzione del trasporto passeggeri che di quello merci, anche per ovviare a realizzazioni strutturali destinate a rimanere cattedrali nel deserto, come la piattaforma logistica sulla direttrice Terni-Narni.
Ciò conferma che il Trasporto Ferroviario nella nostra Regione è caratterizzato da significative carenze di risorse che si calano in una situazione di totale incertezza caratterizzata anche da una sottovalutazione delle problematiche, che oltre a penalizzare le condizioni del servizio, impedisce qualsiasi forma di pianificazione di investimenti a medio e lungo termine.
Lo dimostra, anche, lo stato attuale dell’Infrastruttura della exFCU, su cui si soprassiede dallo spendere ulteriori parole vista l’evidenza dei fatti da tutti percepibile.
Se si continua di questo passo non è detto che, in Umbria, prima o poi non si possa arrivare ad un taglio del 20% dei servizi ferroviari con tutto quello che ne conseguirebbe.
E cosa accadrà quando dal 24/12/17 entrerà in vigore il regolamento europeo UE 2016/2338, che modifica il regolamento europeo CE 1370/2007, in base al quale le Autorità competenti di ogni Stato membro dell’Unione Europea (Stato, Regioni, Enti locali) dovranno stabilire per il trasporto, sia su ferro, sia su strada, le specifiche degli obblighi di servizio pubblico – Pubblic Service Obbligation (PSO) e il relativo ambito di applicazione, potendo anche, se necessario, raggruppare i servizi remunerativi con i servizi non remunerativi? Probabilmente a quel punto si che ne vedremo delle belle.
Come potrebbero arrivare, in futuro, sgradite sorprese dalla attività di vigilanza dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) sul rispetto degli impegni presi dai sottoscrittori nei Contratti di Servizio Pubblico sia in termini di condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto passeggeri per ferrovia, siano essi nazionali che regionali, caratterizzati da obblighi di servizio pubblico (OSP), che quantità dei servizi erogati, che il gestore del servizio deve garantire, idonei a conseguire il soddisfacimento delle esigenze essenziali di mobilità dei passeggeri, in condizioni di utilizzo funzionale delle risorse pubbliche che vengono destinate alla compensazione degli obblighi di servizio pubblico, nonché di congruità e regolarità dei pagamenti dei corrispettivi pubblici.
In chiusura: si parla tanto del IV Pacchetto Ferroviario come un’opportunità sociale ed economica e che, secondo il Ministro Delrio, consentirà all’Italia di essere protagonista dello spazio unico europeo. Maggiori scambi e più connessioni favoriranno l’offerta di massima qualità nei servizi ai cittadini europei. Lo spazio unico aprirà anche nuove opportunità economiche e culturali per l’Italia e l’Europa.
E allora è il caso che coloro che ci governano in Regione comincino sin da subito a dare risposte concrete a quelle migliaia di persone che quotidianamente utilizzano il servizio ferroviario locale e che rappresentano in gran parte quella classe media di lavoratori che si dice in declino ma che non si aiuta mai, senza limitarsi a fare sterili proclami, dato che questo, come più volte evidenziato, sta diventando sempre più un problema sociale. Un problema che, forse, solo loro non hanno compreso in tutto il suo vasto portato e in tutta la sua stringente gravità.
Vexata quaestio!!!!