Relazioni industriali? Via i tappeti rossi

Maggiore peso contrattuale della controparte, minore margine di manovra dell’azienda. Il corsivo di Walter Patalocco

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di Walter Patalocco

Ecco, appunto. Quel che accade tra l’Ast e le aziende locali dell’indotto – con la nascita di difficoltà, la disdetta di accordi contrattuali, la specie di divide et impera di cui si vocifera in questi giorni – dovrebbe aiutarci a capire cosa si vuole intendere quando si parla di relazioni industriali.

Si tratta solo di “buone relazioni” tipo salotto romano con vista su Trinità de’ monti – per intendersi quello che c’è stato la settimana scorsa a Palazzo Gazzoli tra Lucia Morselli e Susanna Camusso – o di rapporti tra componenti all’interno della fabbrica e tra questa e il mondo esterno? Di rapporti e discussioni, di confronti che contemplino come soggetto principale la comunità e in particolare quella che la fabbrica la ospita utilizzandone e sopportandone le conseguenze, o solo di gentlemen agreements?

IL FACCIA A FACCIA TRA LUCIA MORSELLI E SUSANNA CAMUSSO – IL VIDEO

Al momento sembra che da una parte ci sia chi opera come se la società fosse soltanto la Società per azioni, la Spa che gli paga lo stipendio perché i conti tornino. E’ ovvio e legittimo che il management tenga gli occhi puntati sul libro mastro, consideri i costi ed i ricavi, scelga e decida sulla base dei valori contabili.

Per il resto basta che dedichi la giusta attenzione al mantenimento di un minimo di pace sociale, giusto perché abbia la possibilità di marciare lungo la propria strada, evitando frizioni, bracci di ferro, scioperi; mantenendo cioè relazioni accettabili – e accettate – assestando di quando in quando “colpetti” che gli consentano un contenimento in più sul fronte dei costi.

L’obiettivo è solitamente perseguito agendo sul fronte che si presenta più debole nel panorama generale del mercato delle materie prime che, nel caso dell’Ast, sono per semplificare e fermarsi a quelle essenziali: il rottame, l’energia, il lavoro. Non è difficile comprendere quale, tra questi, è il fronte al momento più abbordabile.

Ecco perché diventano essenziali le relazioni industriali (e quelle col sistema economico nel suo insieme) e quindi assume importanza il ruolo delle controparti. Maggiore è il peso contrattuale della controparte tanto più limitato sarà il margine di manovra dell’azienda. Ovvio.

Certo, le controparti hanno una difficoltà in più: l’azienda è un patrimonio anche loro e quindi anche loro debbono in una qualche maniera farsi carico del suo stato di salute e possibilmente della sua crescita. Non a caso il rapporto tra azienda e lavoratori – o loro rappresentanti – si sta ammantando di nuove forme e termini.

Non ci sono più solo il salario, l’occupazione o magari le scelte strategiche aziendali al centro delle relazioni industriali, ma si sta facendo largo una diversa concezione del rapporto che si amplia, si arricchisce, si spinge verso forme nuove che a volte ricordano – è vero – la concezione paternalistica della “fabbrica totale” o l’illuminismo olivettiano, ma che però la dicono lunga su quanto grande – ma pure impellente – dev’essere il salto di qualità nei rapporti in seno all’azienda prima, e col “resto del mondo” poi.

E’ una strada tutta da percorrere, in gran parte ancora da individuare. Ma sembra ormai essenziale che tutte le componenti compiano uno sforzo di rinnovamento, profondo, sostanziale, generazionale e culturale. Per avviare il quale è certamente utile stanare il management, pretenderne, sollecitarne e favorirne l’evoluzione chiamandolo per prima cosa al confronto.

Ma che questo sia concreto, serrato, efficace. E senza stese di tappeti che, seppur rossi, sempre tappeti sono.

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