Sangemini, Ami: «C’è attenzione ai siti umbri»

L’azienda: «Interlocuzione a vari livelli, settore in fase problematica». Le rsu: «Regione e istituzioni intervengano»

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«I vertici aziendali stanno gestendo l’attuale situazione degli stabilimenti umbri in maniera costante e attiva. Ciò avviene anche attraverso l’interlocuzione a vari livelli, territoriali e istituzionali, con lo scopo di mettere in atto le soluzioni già adottate e quelle che si renderanno necessarie»: Acque Minerali d’Italia interviene così in merito alla situazione della Sangemini-Amerino, dopo la dura presa di posizione delle segreterie territoriali di Fai, Flai e Uila, a cui lunedì si è aggiunta anche quella della rsu, tornata a chiedere un intervento di Regione e istituzioni locali di fronte al rischio di un «dramma sociale» per decine di lavoratori.

SANGEMINI: «SI RISCHIA IL DRAMMA SOCIALE»

L’azienda: «C’è tavolo al Mise, serve clima collaborativo»

In una nota Ami spiega che, come noto, questo processo «si inserisce nell’ambito della riorganizzazione e razionalizzazione del gruppo Ami, così come previsto nella richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo con riserva, approvata dal tribunale di Milano, con il quale la società sta lavorando nell’elaborazione della proposta concordataria in continuità. È inoltre attivo, da più di un mese, un tavolo istituzionale presso il ministero dello sviluppo economico voluto dai sindacati nazionali e dall’azienda, quale centro della risoluzione delle problematiche legate alla ristrutturazione. Lo scopo principale è quello di rendere sostenibili le attività sui territori, anche alla luce della fase problematica del settore delle acque minerali in Italia che vede e vedrà un settore fondamentale, quello dell’Horeca (hotellerie-restaurant-café, ndr), purtroppo bloccato». L’azienda poi ricorda che Sangemini «negli scorsi anni, ha compiuto una prima parte di investimenti di ammodernamento e ristrutturazione degli impianti di imbottigliamento, così come ha fatto l’intero gruppo su scala nazionale. Il complesso di azioni messe in campo dall’azienda, alla cui riuscita concorrerà necessariamente anche un clima territoriale che si auspica responsabile e collaborativo, sono pertanto finalizzate – conclude la nota – proprio a questo fondamentale obiettivo».

Rsu all’attacco

Nella stessa giornata di lunedì, come detto, anche la rsu di Fai, Flai e Uila è intervenuta con una propria nota in cui si sottolinea «che quella di Sangemini e Amerino non è, non può e non deve essere una questione che il gruppo Ami può pensare di discutere con le organizzazioni sindacali nazionali e basta, c’è una storia sindacale territoriale di cui andiamo fieri da anni. Non chiediamo ‘cortesie’». E ancora: «La Regione Umbria ed i Comuni interessati vogliono davvero tutelare i cittadini e lavoratori che amministrano e che hanno già pagato e pagano un prezzo altissimo per la macelleria sociale di cui sono vittime in questa pandemia? Ebbene, se lo vogliono, questo è il momento di dimostrarlo» si legge in un altro passaggio del comunicato dei delegati di fabbrica, tornati alla carica per mettere in evidenza la situazione di grossa difficoltà che sta attraversando il sito.

Nuovo appello per ridurre la cassa: «Stipendi da 900 euro»

Per Riccardo Liti (Flai Cgil), Marcello Rellini (Fai Cisl) e Michele Leone (Uila Uil) «non è nemmeno pensabile che la trattativa venga dirottata sul ministero dello sviluppo economico perché il dramma sociale che si rischia di provocare e le cui avvisaglie si sono già palesate non riguardano certo il Mise, ma i lavoratori e le loro famiglie che qui, sul territorio, vivono, lavorano e vogliono continuare a farlo». «Da tempo – continuano – chiediamo insistentemente di ridurre le giomate mensili di cassa integrazione, ma senza ottenere risposte e, anzi, l’unica che la proprietà ha fatto pervenire è stata quella relativa al mancato anticipo delle somme relative alla stessa cassa integrazione, con il risultato che, per molti lavoratori, l’ultima retribuzione ricevuta è stata di 900 euro». Le rsu ricordano poi che a febbraio, a San Gemini, nel corso di un consiglio comunale ‘aperto’ era stato approvato all’unanimità un documento nel quale si delineava la strategia per convincere la proprietà ad aprire un confronto serio. «Quel documento – fanno presente – è rimasto lettera ad oggi inoperosa. Ora, ribadiamo, se gli amministratori ed i politici locali vogliono dimostrare di stare dalla parte dei cittadini, è tempo di chiedere con fermezza alla Regione Umbria ed alla presidente Tesei di intervenire nei confronti di Ami, di metterla di fronte alle proprie responsabilità e, per cominciare, di imporle di provedere all’anticipo delle somme corrispondenti alla cassa integrazione che non sono state erogate a padri e madri di famiglia che dal loro lavoro traggono i mezzi di sostentamento che questo atteggiamento aziendale mette gravemente in discussione».

«Marchi umbri snobbati»

Quanto ai parlamentari umbri ed agli esponenti del governo nazionale – sabato sono intervenuti da Forza Italia a Pd, da Italia Viva alla Lega, che le rsu ringraziano per la disponibilità dimostrata – «vogliamo ricordare loro, per l’ennesima volta – continuano -, che la salvaguardia di Sangemini e Amerino non potrà mai passare per una non meglio identificata trattativa ‘nazionale’, dal momento che il gruppo Ami ha già dimostrato, con i fatti molto più che con le parole, di non nutrire per i marchi umbri (Fabia, Aura e Amerino) lo stesso interesse, sia sotto il profilo degli investimenti e accordi mai rispettati (dove la Regione è garante) che delle strategie commerciali, dove chi ci doveva tutelare non ha garantito (solo tante belle parole) che è invece garantito per altre realtà territoriali e produttive». Dei siti umbri, secondo i tre delegati, la proprietà «si interessa solo dei marchi Sangemini e Grazia, storia già vista». «Le lavoratrici e i lavoratori di Sangemini e Amerino, loro sì con i fatti e non con le parole – continuano Liti, Rellini e Leone -, hanno già dimostrato la propria volontà di contribuire al salvataggio ed al rilancio di quello che è un patrimonio culturale e sociale, prima ancora che industriale. E non intendono permettere, senza combattere, che tutto questo venga dissipato per scelte fatte altrove e sulla loro pelle. Ma è indispensabile, oltre che eticamente irrinunciabile, che gli amministratori locali chiedano alla Regione risposte serie. Lo devono non solo alle lavoratrici ed ai lavoratori – concludono -, ma alle intere comunità che hanno affidato loro il compito di governarle e tutelarle».

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