Sangemini: «Si rischia il dramma sociale»

Cassa integrazione, concordato e covid, i sindacati: «Una polveriera, si torni al Mise»

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di F.L.

Rischia di trasformarsi in un «dramma sociale» la situazione dei lavoratori della Sangemini-Amerino, alle prese con le difficoltà legate al concordato a cui ha avuto accesso il gruppo Ami, a cui si sommano quelle dovute al coronavirus. In questo quadro i dipendenti continuano intanto a fare i conti con la decurtazione degli stipendi a causa della cassa integrazione.

Incontro telefonico ‘teso’

Venerdì si è tenuta una call, specifica sui siti umbri, tra la dirigenza del gruppo, le organizzazioni Fai Flai Uila e le rsu di sito. «L’azienda attraverso il dottor Paganini – spiegano i sindacati – ha tenuto subito a precisare che le call e le trattative devono essere di natura nazionale e non territoriale, ribadendo di aver accettato l’invito delle scriventi solo per cortesia». Ma le organizzazioni sindacali – rispedendo al mittente quelle che ritengono «provocazioni» – hanno ribadito che «le questioni territoriali devono essere discusse territorialmente, e che le corrette relazioni sindacali sono ben descritte sulla legge 300 dello statuto dei lavoratori. Consapevoli dello stato attuale in cui si trova Ami, ma altrettanto consapevoli dei sacrifici dei lavoratori – scrivono -, chiediamo rispetto per l’intero territorio».

Covid-19 si fa sentire

Per ciò che riguarda l’attività commerciale, è stato comunicato che l’azienda sta provvedendo a riattivare i canali commerciali con la gdo (grande distribuzione organizzata, ndr), nel tentativo – «goffo» viene definito – di recuperare le commesse perse, mentre sono tante le difficoltà del momento legate al concordato stesso e al covid-19, che hanno portato ad un significativo calo di volumi soprattutto nel canale horeca (hotellerie, restaurant e cafè, ndr) di gruppo. «Come organizzazioni sindacali – dicono Fai, Flai e Uila – abbiamo ribadito che le persone in Sangemini e Amerino lavorano nonostante le difficoltà del momento, sempre nel rispetto delle normative in corso, pronti anche a far fronte ad una richiesta massiccia di ordini, nonostante il peso della cassa sta mettendo a dura prova il bilancio delle famiglie. Il quadro è aggravato da anni di privazioni per la cassa integrazione e degli ultimi 15 mesi con una cassa straordinaria, pesante, sommata ad un accordo su cui la Regione Umbria era garante, mai rispettato che ha comportato una riduzione dei salari. Le scelte scellerate dell’azienda hanno portata di nuovo il gruppo sul baratro».

«Ridurre le giornate di ‘cassa’»

I sindacati hanno chiesto insistentemente «di ridurre le giornate mensili di cassa integrazione per evitare il dramma sociale che si sta invece avvicinando sempre più velocemente». «I siti produttivi in questione – continuano le tre organizzazioni – stanno diventando una polveriera, e i dipendenti stanno pagando il prezzo di anni di ‘pressappochismo’ aziendale. Inoltre si avvicina la scadenza della cigo covid-19 di nove settimane utilizzata attualmente. Pensiamo infatti che se ancor prima del concordato non siano stati in grado di garantire la continuità aziendale, il concordato stesso e soprattutto la salvaguardia occupazionale saranno a forte rischio di default. Quindi si facciano da parte». Alle strutture sindacali nazionali le sigle locali hanno chiesto «di attivarsi quanto prima per una call unitaria e per una convocazione urgente del Mise, per una forte e chiara presa di posizione che non escluda un’iniziativa concordata per tutti i siti. Ci attiveremo nei prossimi giorni – concludono – per informare tutte le istituzioni locali, iniziando dal prefetto, la Regione Umbria, i sindaci dei comuni interessati e la politica tutta, prima che la situazione si trasformi in un dramma sociale».

Nevi (FI): «Preoccupato»

Così il deputato umbro di Forza Italia, Raffaele Nevi: «Sto seguendo con non poca preoccupazione la vicenda dei siti umbri del gruppo Acque Minerali d’Italia. Le notizie che arrivano parlano di una situazione molto tesa tra lavoratori e azienda. Il nostro territorio, come purtroppo molti altri nel resto del paese, è provato dal punto di vista economico dal lockdown per arginare la diffusione del Covid-19, quindi non può permettersi ulteriori criticità. Come Forza Italia – conclude Nevi – auspichiamo che il governo nazionale torni a convocare l’azienda al Mise, magari tramite conference call, affinché chiarisca le reali intenzioni per la salvaguardia occupazione dei siti stessi. Non si può perdere altro tempo».

Verini (Pd): «Governo pronto al tavolo»

Prende posizione anche il commissario Pd dell’Umbria, il deputato Walter Verini: «L’appello dei lavoratori della Sangemini deve essere raccolto, al più presto, da tutti. L’atteggiamento della proprietà, da mesi, è grave e inadeguato. I salari sono già fortemente colpiti, si rischia di compromettere il domani di tanti lavoratori e delle loro famiglie e insieme il futuro produttivo di un sito e di una realtà il cui valore non sono certamente solo umbri. Questo non deve e non può essere consentito, tanto più nella fase drammatica che tutti stiamo vivendo con gli effetti sanitari e sociali del Coronavirus. Abbiamo sentito questa mattina la sottosegretaria al Mise Alessia Morani che ci ha confermato la piena disponibilità del Governo ad attivarsi da subito per favorire un rilancio industriale e produttivo, convocando il tavolo non appena sarà richiesto dai sindacati. Ma è necessario che si muova immediatamente anche la Regione Umbria, titolare delle concessioni delle acque minerali e per questo nelle condizioni di utilizzare strumenti amministrativi importanti per individuare soluzioni che garantiscano produzione, occupazione che l’Umbria deve assolutamente difendere. Non c’è tempo da perdere e ognuno di noi deve muoversi, unitariamente, per questo obiettivo».

Grimani (IV): «Enorme sconcerto»

«Le notizie apparse sulla stampa riguardanti – commenta il senatore di Italia Viva, nonché membro della I° commissione affari istituzionali – le vicende dello stabilimento San Gemini Acque Minerali rientrante nella più complessa gestione AMI non possono che destare enorme preoccupazione e sconcerto. Non c’è dubbio che tutto il sistema produttivo italiano risenta, in questa fase, delle conseguenze negative legate all’emergenza epidemiologica Covid – 19 ma è altrettanto vero che la vertenza Sangemini non possa essere celata dietro all’emergenza e allontanata facendo leva sugli strumenti che il Governo ha messo in campo con il decreto Cura italia (Cigo di 9 settimane). Non è accettabile che la proprietà rinunci a trattare i problemi dello stabilimento San Gemini come singola unità produttiva e si rifugi dietro l’intenzione di affrontare la vertenza globalmente come gruppo Ami. Il peso del marchio Sangemini unitamente al valore aggiunto che può determinare sul mercato merita un attenzione particolare e non può essere liquidato in una generica trattativa globale avente ad oggetto tutto il gruppo Ami. Chiedo infine che le Istituzioni facciano la loro parte tutte secondo e per le loro competenze.Abbiamo assistito prima a proclami di convocazione della commissione attività produttive della Camera che non solo non ha alcuna competenza ma non potrebbe che effettuare soltanto audizioni che in questo momento non avrebbero alcun valore e non aiuterebbero a dare celerità alla risoluzione della vertenza. Poi c’è stato l’impegno del Mise di procedere ad una convocazione del tavolo ma tale procedura si è interrotta per l’emergenza Covid- 19. Ritengo che i piani di azione siano due: il primo è quello regionale. C’è un accordo sottoscritto nel 2018 dall’azienda , i sindacati e la Regione. La presidente e la giunta regionale battano un colpo se riescono e chiedano il perché del venir meno di quell’accordo. Venga quindi convocato un tavolo per trattare in modo chiaro e definitivo questo aspetto il secondo è quello della convocazione di tutti i soggetti presso i Mise per un confronto immediato ritengo che non ci sia davvero più tempo. L’emergenza coronavirus ha determinato la concentrazione di tutti gli sforzi verso la soluzione dei problemi sanitari ed ancora – conclude – oggi questa è una sfida in corso che dobbiamo a tutti i costi vincere in tutto il Paese ma parallelamente non possiamo perdere tempo rispetto ai problemi di straordinaria rilevanza che riguardano lo stabilimento di San Germini che necessitano di una soluzione per salvaguardare i lavoratori e le famiglie».

Alessandrini e Saltamartini (Lega): «Chiarezza dalla proprietà»

«Seppur nell’evidenza – la nota delle senatrici della Lega – delle difficoltà che il tessuto economico locale  sta attraversando in seguito alle disposizioni governative derivanti  dall’emergenza sanitaria e alla conseguente rivoluzione dei consumi, non  possiamo che sottolineare le nostre perplessità in merito all’efficacia delle misure strategiche messe in campo dal gruppo delle Acque Minerali d’Italia per il rilancio del marchio Sangemini Amerino. In base ai dati in nostro possesso, come evidenziato anche da importanti riviste del settore, la vendita di acqua minerale in Italia a marzo del 2020 ha fatto registrare un incremento superiore ai 20 punti percentuali rispetto ai volumi di marzo 2019. Dati che collidono con quanto più volte espresso dall’azienda in merito alla diminuzione del fatturato e che testimoniano evidenti difficoltà nel sostenere un’azione di marketing efficace di rilancio. Dalle notizie che ci giungono
sembrerebbe che vi sia carenza di materiale essenziale all’interno degli stabilimenti, per consentire il regolare svolgimento dell’attività, come tappi, preforme, film avvolgi bottiglia, bancali per il sostegno del prodotto finito. A questo si aggiunge la mancata integrazione da parte di Inps della cassa integrazione per gli 86 lavoratori, promessa dal premier Conte entro il 15 aprile, ma non ancora corrisposta. La Lega e i suoi rappresentanti a tutti i livelli, è disposta a fare la sua parte nel percorso di valorizzazione di uno dei marchi storici del territorio, ma è la proprietà che deve dire con chiarezza quali progetti e piani aziendali intende mettere in campo. Consapevoli che quello della salvaguardia dei livelli occupazionali e produttivi rappresenta un obiettivo universalmente condiviso, presenteremo le nostre proposte per l’apertura di tavoli nazionali sulla vertenza, auspicando la piena partecipazione di tutti gli attori coinvolti ai tavoli territoriali già avviati e augurandoci – concludono – che azienda e Mise diano finalmente risposte concrete per il bene dei lavoratori e di tutto il territorio».

L’accusa di Bori e Paparelli (Pd): «Regione immobile»

«La situazione di emergenza sanitaria attuale non può, in alcun caso, giustificare le scelte aziendali di Sangemini e Amerino che rischiano di portare l’azienda alla chiusura definitiva delle attività». È quanto dichiarano i consiglieri regionali Pd, Fabio Paparelli e Tommaso Bori, che in una nota congiunta chiedono inoltre alla Regione «d’intervenire in maniera decisa per risolvere la vertenza aziendale in virtù della titolarità delle concessioni per lo sfruttamento delle stesse acque minerali. La giunta regionale – ricordano i due consiglieri Dem – sollecitata più volte e da più parti in questo senso, continua a manifestare la propria irresponsabile indifferenza cercando perlopiù di scaricare le responsabilità altrove. Giova ricordare che la disponibilità immediatamente accordata dal Governo è relativa alla crisi dell’intero gruppo Acque Minerali d’Italia sul piano nazionale. Per questo è necessario un ruolo attivo della Regione, per scongiurare il rischio concreto che lo stabilimento di Sangemini possa essere chiuso o ridimensionato, vanificando le speranze e i sacrifici compiuti in questi anni dai lavoratori. Già a febbraio – ricordano Paparelli e Bori – vista la gravità della situazione, avevamo manifestato preoccupazione per il futuro dei lavoratori delle due aziende e presentato, contestualmente, un’interrogazione urgente in cui si chiedeva di conoscere quali provvedimenti intendesse adottare la Regione Umbria a tutela dell’occupazione, oltre che per assicurare la strategicità dei siti produttivi di questi due marchi storici delle acque minerali umbre. Ad oggi non abbiamo avuto risposta, nonostante siano state ampiamente superata le scadenze previste dal regolamento e dallo statuto della Regione. L’obiettivo – viene ribadito – era e rimane quello di stimolare gli organi politici e istituzionali regionali affinché richiamino la proprietà al rispetto degli accordi per il rilancio dell’azienda e la salvaguardia dell’occupazione, sottoscritti nel 2018 tra Regione e la società Ami, pena la revoca delle concessioni stessa. A distanza di tre mesi possiamo dire che, a fronte dell’inerzia della Regione, i dipendenti degli stabilimenti di Sangemini e Amerino sono ancora più in difficoltà – sottolineano Paparelli e Bori – e tornano giustamente a chiedere certezze, e non certo provvedimenti come la cassa integrazione, che rischia ad aggravare ulteriormente anche loro condizione economica e sociale. Il settore dell’agroalimentare, in generale, e quello delle acque minerali, in particolare – ricordano i due consiglieri – non ha subito in questo periodo di emergenza una crisi di mercato, e quindi la cassa integrazione non è giustificata, tanto più, se si considera il fermo dell’acquisto di materie prime, con il pericolo conseguente della perdita definitiva di quote e fette di mercato. Sentiamo pertanto necessario condividere l’ennesimo grido d’allarme dei lavoratori – sottolineano – apprezzando lo sforzo che gli stessi stanno compiendo, manifestando la volontà di lavorare, nonostante le criticità del momento, nel rispetto delle normative vigenti, e dichiarandosi pronti a far fronte ad una eventuale auspicabile richiesta massiccia di ordini, nonostante il peso della cassa integrazione, che sta mettendo a dura prova il loro bilancio familiare. È preoccupante il fatto – continuano – che gli stessi rappresentanti sindacali lamentino un significativo e paradossale calo di volumi soprattutto sul canale della grande distribuzione organizzata del gruppo ed il fatto che l’azienda non stia provvedendo, da diverso tempo, all’acquisto di materie prime, al fine di poter far fronte alle forniture; ciò rappresenta un segnale emblematico su quale direzione si intenda percorrere. È giunto dunque drammaticamente il momento che le istituzioni regionali battano un colpo», sostengono i due consiglieri del Pd. E concludono: «Nonostante l’azienda ritenga che le trattative debbano avvenire sul piano nazionale, noi restiamo convinti che, invece, le questioni territoriali devono essere affrontate in Umbria e che la giunta regionale deve intervenire subito per evitare il concreto rischio di chiusura delle attività. In attesa di un tavolo regionale e nazionale – concludono Paparelli e Bori – si accolgano intanto le richieste dei lavoratori che chiedono legittimamente di ridurre le giornate mensili di cassa integrazione, portandole da 8 a 6, con anticipo della stessa indennità. Ciò a vantaggio anche della stessa azienda, affinché possa produrre e distribuire a pieno ritmo un bene primario come l’acqua, che proprio nel pieno di una crisi sanitaria ed economica come quella che stiamo vivendo, non va fermata ma assicurata».

«Mettere l’azienda di fronte alle proprie responsabilità»

Due gruppi consiliari del comune di San Gemini, ‘Tradizione e progresso’ rappresentato da Fausto Proietti, ‘San Gemini Bene Comune’ da Stefano Giammugnani e Ulisse Nori, intervengono sulla vertenza: «Nei giorni scorsi si è tenuta una call tra la Ami e le organizzazioni sindacali, in cui la proprietà ha tenuto a precisare che le trattative debbono essere solo ed esclusivamente di natura nazionale. Questo consente alla proprietà di diluire i tempi, vista anche la contingenza Covid-19 con i blocchi che oramai tutti conosciamo, e di evitare una trattativa territoriale con le istituzioni locali umbre, comuni interessati e soprattutto con la Regione Umbria che è la concessionaria dello sfruttamento delle acque e dei marchi Fonti Sangemini, Fabia, Amerino e Grazia e altri. Secondo noi – affermano i tre consiglieri – questo è il vero nodo: la proprietà non sta rispettando i patti sottoscritti nel 2018 con i sindacati e la Regione Umbria e questo è inaccettabile, perciò riteniamo che il silenzio della presidente Tesei non sia accettabile così come quello del Comune di San Gemini. Nelle scorse settimane il sindaco Clementella aveva annunciato di personali contatti con la proprietà Ami ed aveva rassicurato tutti sulla volontà aziendale di proseguire con un dibattito serio e puntuale, rimarcando la volontà della Ami di garantire la sopravvivenza ed anzi di rilanciare i marchi legati allo stabilimento Sangemini, che sono la storia del nostro territorio e rappresentano una fetta importante della stessa Umbria e Italia. Che fine hanno fatto – si chiedono i consiglieri – questi buoni propositi? Siamo convinti che sia necessario un tavolo convocato dalla Regione Umbria, con i sindacati, i comuni interessati e la proprietà da cui la stessa non possa sottrarsi, per riportare la vertenza a livello locale. Auspichiamo che si faccia fronte comune tra le forze politiche, sia quelle che sono al Governo nazionale sia quelle che governano la Regione dell’Umbria e i comuni del territorio. Ci deve essere un obiettivo comune: lavorare insieme per risolvere in modo definitivo la questione Sangemini, senza guerre di posizionamento politico e malcelati interessi personali a seconda del proprio tornaconto elettorale. In gioco c’è il futuro di molte famiglie che oggi rischiano tantissimo. Lo scorso 17 febbraio in un consiglio comunale aperto tenutosi a San Gemini alla presenza di vari esponenti politici, dei sindaci interessati, dei sindacati, dei lavoratori e dei cittadini, si era giunti con voto unanime e con l’apprezzamento di tutti ad un documento unitario per rilanciare la vertenza e dare sostegno ai lavoratori e costringere la proprietà ad aprire un confronto serio sulle problematiche. Secondo noi – spiegano Proietti, Giammugnai e Nori – la strada è già tracciata da quel documento e il sindaco di San Gemini deve riprendere in mano il filo del discorso avviato e spingere sulla Regione Umbria e sulla presidente Tesei perché la proprietà venga messa definitivamente di fronte alle proprie responsabilità. Di pari passo, cogliendo la disponibilità dei parlamentari umbri e di esponenti del Governo nazionale, si riporti sul tavolo del Mise la questione del gruppo Ami, facendo bene attenzione perché a nostro avviso gestire le problematiche dello stabilimento Sangemini all’interno della crisi di tutto il gruppo Ami sarà penalizzante per il nostro sito. I comportamenti del gruppo Ami hanno dimostrato , in questi anni, sia negli investimenti, sia nella strategia delle vendite che non c’ è lo stesso interesse per tutti i poli. Ancora una volta ribadiamo il nostro appoggio incondizionato ai lavoratori, che oggi vivono momenti di grande apprensione, alle Rsu e ai sindacati, assicurando a tutte le forze politiche e ai sindaci del territorio la nostra collaborazione».

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